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Sarri è stoico, noi tifosi siamo epicurei

Un commento di un utente, una telefonata con un amico parlando di calcio, la scena del film di De Crescenzo: noi non siamo predisposti ad aspettare.

Sarri è stoico, noi tifosi siamo epicurei

Credo che «Così parlò Bellavista» sia una perculata lunga un film a tutto quello che è Napoli, a tutto quello che sono e rappresentano i napoletani. Con questo, non vuol dire che non sia un atto d’amore. Anzi, lo è soprattutto in virtù di questo. Ridere di se stessi è il primo passo per amarsi, accettarsi, compiacersi. È il primo mattone per costruire la frase finale del film, quella per cui Napoli resta “l’unica speranza per l’umanità”.

In redazione, qualche giorno fa, leggemmo un commento a un nostro pezzo. Uno di quelli che ci piacciono, perché civili, pacati, scritti anche in maniera decente. Non è importante essere d’accordo o meno. Non ve lo riportiamo, non c’è bisogno. Basta il pensiero, che in questo caso è il concetto. Ovvero: «Saremmo pronti a tre-quattro stagioni da quinto-sesto posto, in cambio di un nuovo stadio, solo dopo aver vinto lo scudetto che meriteremmo». Prima il piacere, poi il dovere, per voler ridurre tutto in termini semplicistici.

A me, personalmente, è venuta subito in mente una scena del film di De Crescenzo. Una delle più emblematiche, almeno per l’umilissima conoscenza cinematografica del sottoscritto. Il professore e i suoi “seguaci” salgono le scale e parlano di Cazzaniga, e intanto fanno i napoletani. Ovvero, dividono il mondo in due parti. Da una noi, dall’altra loro, i cazzanighi. Loro stoici, noi epicurei.

C’è poco da fare, il tifoso è epicureo. Ne ho avuto la conferma ieri sera, quando io e un mio amico abbiamo parlato di calcio al cellulare. Lui era stato allo stadio, io no. Entrambi amiamo parlare di campo e di gioco, più di ogni altra cosa. Siamo d’accordo col principio di partenza, ovvero che solo attraverso un’impostazione tattica efficace, quindi automaticamente funzionale ed esteticamente godibile, si possano perseguire i risultati. Una roba fondamentalmente stoica. A un certo punto, lui però deroga. Diventa epicureo. «Però, xxxxxx xxxxxxxxx (bestemmia random), quando a un certo punto ti accorgi che il tuo gioco non funziona, rifiuta i tuoi ideali e fai qualcosa per difendere il risultato». 

Lo considero una persona profondamente intelligente, il fatto che abbia avuto questa uscita (con cui io non concordo “di principio”, io resto stoico) non compromette questa mia fotografia di stima. Anche perché, io resterò stoico ma questo mio amico epicureo ha ragione. Ieri sera, Napoli-Sassuolo, bastava poco di più per portarci a casa quello che ci meritavamo. Il risultato, alla fine, avrebbe lenito le ferite nell’orgoglio filosofico di Sarri. L’avrebbe fatto, forse. L’avrebbe fatto sicuramente con le mie.

Ecco, quindi, che tutto il puzzle si ricompone. Sarri è come Cazzaniga, perché – scusate l’allitterazione e la presunta brutta parola, ma è solo un nostro modo di dire – è cazzo di non cambiare mai e proseguire sulla sua strada, «verso i suoi grandi obiettivi posti al di là della vita, e per questi obiettivi è disposto a morire». (noi non siamo disposti a morire). Quello di Sarri è la bellezza, come dice e come fa capire Sarri «siamo nati per soffrire». (noi non vogliamo soffrire). Il fatto che la terza frase riguardi i marxisti è solo un caso. Solo un caso.

Noi no. Noi siamo epicurei. Noi ci accontentiamo di poco, purché questo poco ci venga dato il più presto possibile. Un risultato, uno scudetto (che non è poco, ma pure questa volta importa il concetto). Noi tifosi vogliamo questo, me ne rendo conto ieri sera quando mi trovo a dover dare ragione per un istante all’amico mio al telefono. Non riesco a ribattere, pure io volevo i tre punti.

Lui, però, subito dopo corregge il tiro. «Al massimo, se proprio vuoi giocare così, spompati fino al 60esimo e cerca di fare 3-4 gol. Non siamo nati per gestire, allora non dobbiamo gestire mai». Il ritorno dello stoico. Come Sarri, addirittura più di Sarri. Come me, addirittura più di me. Sono ancora più d’accordo. Me ne vado da Natasha a festeggiare.

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