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Il calciomercato, ovvero la più grande religione planetaria

Il calciomercato, ovvero la più grande religione planetaria

Le istituzioni religiose lamentano da tempo un crollo delle vocazioni. Sebbene provino con ogni mezzo a rendere allettante la scelta di una missione ultraterrena, i numeri delle nuove leve languono. Le cause addotte a spiegare il fenomeno sono note – i classici tempi che corrono, il mondo travolto dalla corruzione morale, i valori fondanti ormai dispersi. Eppure nessuna delle religioni è riuscita a cogliere la vera novità del panorama moderno, comprendendo che a sottrarre le anime al disegno delle chiese non sono i costumi decaduti, ma un nemico di ben altro lignaggio: il calciomercato.

Sì. Il calciomercato. La forma di teologia più sofisticata e complessa della storia dell’umanità. Esso è, per sua definizione, una rigorosa e vastissima speculazione teorica su un dato – l’acquisto o la cessione di un calciatore – che non ha niente di storico. È totalmente rivelato. Da un amico di un procuratore. Dal sogno di una vicina della moglie di un giocatore. Dalla luna piena. Dalle maree. Gli operatori del settore, gli addetti ai lavori, i procuratori, i calciatori, i loro parenti e affini e i lettori costituiscono oggi i sacerdoti e le assemblee della più grande religione planetaria, un califfato sportivo senza confini.

L’evento di calciomercato, come detto, non ha nessun vincolo di esistenza reale. Viene dato come tale. Donato agli uomini dalle colombe nel cielo o dal tramonto che imporpora la sera. La discussione che si alimenta attorno serve a costruirne il dogma. Gli editoriali, i trafiletti, le trasmissioni radiofoniche e televisive che se ne occupano non sono altro che disputationes identiche a quelle che si ascoltavano nella teologia scolastica medievale: una discussione pubblica con più interlocutori, un opponente e un controbattente e una questio formulata dall’insegnante nella formula asciutta e perentoria: “Higuain vuole andare via da Napoli. Perché?”.

Una recente disputatio dal forte impatto culturale è stata quella sulla natura di Soriano, che ricalca incredibilmente da vicino una delle dispute più famose della scolastica, quella sugli universali, ovvero sul rapporto tra linguaggio e realtà, nel tentativo di stabilire se la seconda esistesse a prescindere dal primo o i nomi che la rappresentassero fossero enti reali a sé stanti. Che è quanto ci si chiede oggi di Roberto Soriano: il trequartista sampdoriano esiste solo nella mente divina, o è un prodotto reale della nostra mente? Esiste un Soriano ante rem, in re e post rem? Sono domande dinanzi alla cui portata mastodontica neppure Tommaso D’Aquino avrebbe potuto chiosare con una determinatio finale migliore di quella di una seconda pagina di Gazzetta e Corriere, quesiti che riguardano un calciatore per il quale forse Sant’Anselmo D’Aosta avrebbe potuto adoperare il suo famoso flatus vocis: egli è un semplice nome proiezione delle nostre menti. E per un puro flatus non esistono contratti reali che tengano.

L’indimenticabile vicenda Gonalons ci riporta, invece, alle più profonde ferite eretiche della millenaria storia cristiana. Nella compravendita del francese, che avvenne pur senza mai avvenire, si cela chiaramente il Monotelismo, la dottrina del settimo secolo che affermava che in Cristo esistesse un’unica, granitica ed inseparabile volontà. La Chiesa ne scomunicò i seguaci stabilendo che Cristo aveva due volontà naturali e non una sola – e se Cristo ne aveva due, figurarsi quante ne avrà avute Gonalons, che è solo un centrocampista senza velleità salvifiche, mentre costringeva ad asperrime dispute teologiche i più importanti organi di diffusione religioso-sportiva circa la sua reale ed unica volontà di lasciare il Lione per approdare alle sponde partenopee.

Alle correnti millenaristiche, che attendono una nuova venuta intermedia del messia – la cosiddetta parusia – si rifanno invece i sacerdoti del celebre calciomercato sul territorio. Sono i credenti apocalittici, quelli che cercano nei segni terreni le voci che preannuncino la venuta di un calciatore. Nell’alto medioevo i simboli parusistici avevano generalmente carattere disastroso ed escatologico; oggi, che la teologia si è evoluta, essi si annidano principalmente nelle scuole. A partire da giugno, i sacerdoti del mercato battono scuole pubbliche e private, interrogano insegnanti e bidelli col piglio del miglior Tomás de Torquemada per conoscere e setacciare in anticipo le liste dei neo iscritti onde poter stabilire se il figlio di un messia è in esse presente. I presidi di oggi sono l’equivalente degli esorcisti dell’anno mille – convertono anime, parlano per simboli, rimandano a significati esoterici come veri servi della comunità.

Non ci resta dunque che lasciar perdere la vulgata corrente, di stampo luterano, e leggere la vita e le opere degli scolastici dell’ortodossia, per capire con che modulo giocherà il Napoli l’anno prossimo e se Sarri farà finalmente un po’ di turnover. Studiare le opere di quelli che, secoli or sono, hanno posto le basi per comprendere e tramandare il senso del mercato calcistico odierno. A tal proposito, il saluto finale voglio dedicarlo a Volfango Capitone – teologo riformatore tedesco di nome Wolfgang Fabricius Köpfel, la cui latinizzazione per sempre consegnò alle vasche natalizie di Spaccanapoli. È lui, a mio avviso – e giocoforza – il teologo esperto di calciomercato cui noi dobbiamo fare riferimento. Nomen omen.

Per la nostra estate di passione urge il teologo Capitone.

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