Sacchi: «Mihajlovic era un tecnico coraggioso. In un Paese che ha paura, lui non ne aveva»

A La Stampa: «Era più bravo come giocatore, ma il suo calcio mi piaceva. Era umile e voleva imparare. Non era presuntuoso».

Mihajlovic saputo

Mg Bologna 08/08/2022 - Coppa Italia / Bologna-Cosenza / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Sinisa Mihajlovic

La Stampa intervista Arrigo Sacchi. Parla di Sinisa Mihajlovic, scomparso due giorni fa a causa della leucemia.

«Era un grande giocatore, un signore generoso, l’anno scorso gli ho detto “ricorda che tu hai una squadra, ma hai anche e soprattutto una famiglia”. Eravamo al telefono, quando ho riattaccato, ho pensato: questa malattia non ti fa star male, ti porta via. Ci sono passato, un mio caro amico, un fratello, è morto dello stesso male quattro anni fa e si comportava proprio come Sinisa, pensava che continuare a fare finta di nulla lo avrebbe tenuto sulla terra più a lungo. Non è stato così».

Crede che Mihajlovic fosse consapevole di avere poco tempo? Sacchi risponde:

«Per niente. Lo chiamavo e gli ripetevo “non devi prendere neanche un colpo d’aria”. Lui amava troppo il calcio
per immaginarsi senza e poi si sentiva un uomo forte. Indistruttibile».

È diventato l’icona del combattente. Forse troppo.

«Non è il modo in cui lo definirei. Era una brava persona e un grande giocatore, più di quanto gli sia stato riconosciuto. Aveva un piede… al mio Milan fece gol su punizione: porta nostra – sposta i bicchieri per disegnarla sul tavolo – , linea di fondo, tre metri. Lui tira in porta, gol. E che vuoi dire? Che vuoi insegnare? Era modesto, quando ero responsabile delle nazionali giovanili, dal 2010 al 2014, veniva spesso a Coverciano a studiare il mio lavoro».

Mihajlovic era sacchiano?

«Era umile e voleva imparare. È stato tre giorni a vedere l’Empoli di Sarri quando lui allenava già in serie A. Non
era presuntuoso».

Che allenatore che era Mihajlovic? Sacchi risponde:

«Più bravo come giocatore, ma un tecnico coraggioso e il suo calcio mi piaceva. La vedeva giusta, seguiva un pensiero controcorrente in un Paese che ha paura, lui non ne aveva. Il dramma dell’Italia è che non c’è più audacia e si è persa l’innovazione».

Non sta parlando di calcio.

«Parlo di tutto. Il calcio è lo specchio della cultura e della storia di una nazione, noi ci difendiamo perché dopo i romani le abbiamo sempre prese».

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