Pastore: «Di Francesco non mi voleva alla Roma, cominciò a dire cose sbagliate su di me»
Alla Gazzetta: «Fonseca fermò la mia cessione, mi disse che ero uno dei più forti in squadra, ma poi a dicembre mi infortunai all'anca».

La Gazzetta dello Sport intervista Javier Pastore. Ha appena conquistato la salvezza con l’Elche, in Spagna.
«Sono contento, venivo da un periodo complicato. Avevo bisogno di un’esperienza come questa: l’Elche è una squadra tranquilla, che gioca una volta a settimana e mi ha dato l’opportunità di allenarmi con continuità. Prima di venire qui, avevo paura a correre, a fare i contrasti. I medici mi avevano detto che dopo essermi operato all’anca avrei rischiato di smettere».
Racconta come si sentiva.
«Sei mesi fa, credevo di essere esausto. Continuavo a sentirmi bloccato durante gli allenamenti, riflettevo su cosa fare dopo il ritiro. Ho lavorato sodo, non ho mollato, alla fine sono riuscito a migliorare ed esprimermi bene sul campo. Adesso sono al top: è bello rivedere il calcio giocato al centro della mia vita».
A giugno il suo contratto scadrà.
«Cerco una squadra che mi offra spazio in un campionato importante. L’Italia? Magari…».
Ha un lungo passato al Psg, dove ha condiviso lo spogliatoio con tanti campioni. Gli chiedono chi sia il più esuberante.
«Ce ne sono tantissimi, però scelgo Ibrahimovic. Il suo modo di fare, di scherzare, di tenerti sull’attenti era magico. Se sono diventato un grande giocatore, lo devo anche a Zlatan. Negli allenamenti si arrabbiava se facevi più gol di lui, ma al tempo stesso pretendeva che tutti dessero il massimo. Ricordo una trasferta: a fine primo tempo vincevamo 4 o 5 a zero. Nello spogliatoio c’era un clima di festa, poi entrò Zlatan incazzato come una bestia. Perché? Beh, lui non aveva ancora segnato. Rimanemmo scioccati. Nel secondo tempo, fece una tripletta in 9 minuti…».
Su Carlo Ancelotti, che ha avuto come tecnico:
«Il cuore lo distingue dai suoi colleghi. E chi ha un cuore gigante, alla fine, vince sempre. Non è questione di tattica, anche se Ancelotti capisce di calcio come pochi. La sua forza sta nell’essere una persona straordinaria, sa parlare con i calciatori e mettersi al loro stesso livello. Nel Psg voleva che giocassi esterno nel 4-4-2: c’era scetticismo, ma riuscii a interpretare il ruolo come voleva lui. Sembrava semplice, perché ogni giorno veniva a ripetermi che stavo andando bene, che ero forte, che potevo dare di più. Sa come fare sentire importante ogni componente di una rosa, è normale che la squadra ne tragga benefici».
Tra le squadre che gli sono rimaste nel cuore c’è anche il Palermo. Racconta il suo rapporto con Zamparini.
«È difficile da spiegare, per me si trattava davvero di un secondo padre. Già prima di portarmi in Italia si comportò come nessuno ha mai fatto nel calcio. Veniva in Argentina con Sabatini, implorandomi di prendere un caffè con loro e stare mezz’ora insieme. Scelsi Palermo perché da loro mi sentivo davvero apprezzato. Quando mi sono trasferito mi invitava a cena a casa, i suoi parenti mi regalavano dei portafortuna. Il lunedì invece andavo nel suo ufficio: voleva sapere se stavo bene, come andavano le cose in famiglia, se poteva fare qualcosa per aiutarmi. Pure a Parigi mi mandava decine di messaggi per complimentarsi».
E poi la Roma, dove invece non è andata benissimo.
«Con Di Francesco non c’è mai stato feeling. Ero arrivato a Roma per fare la differenza, dopo aver rinunciato a un quinquennale con il Psg dove avevo davanti Di Maria, Neymar, Mbappé, Cavani… La società mi voleva fortemente, il mister no. Provò a schierarmi mezzala, poi mi lasciò fuori e cominciò a dire cose sbagliate su di me. Con Fonseca invece c’era un bel rapporto. Purtroppo però dopo il suo arrivo ho dovuto fare i conti con i problemi all’anca».
Avrebbe potuto lasciare prima la Capitale?
«Sì, ma mi fu chiesto di rimanere. Dopo il primo anno con Di Francesco la società voleva cedermi. Fonseca stoppò tutto per valutarmi in ritiro e, alla fine, decise di trattenermi. Mi disse che secondo lui ero uno dei più forti in squadra, che avrei fatto la differenza e mi avrebbe riportato al top. Ero entusiasta, però a dicembre mi sono infortunato e non sono riuscito a dargli quello che speravo. Nell’estate 2020 decisi di operarmi per rimettermi in forma, sei mesi dopo ero a disposizione ma la società aveva scelto di tagliarmi. E così l’anno scorso non mi hanno mai dato l’opportunità di mostrare che stavo bene».