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Perché non volete una Napoli come Eduardo e Troisi?

Perché non volete una Napoli come Eduardo e Troisi?

Esprit d’escalier. Così i francesi definiscono quella sensazione che ci pervade quando rimuginiamo con un pizzico di ritardo su quel che ci è stato detto e metaforicamente torniamo indietro, per le scale, per replicare con la risposta giusta che ci è venuta in mente.

L’esprit d’escalier ha condotto oggi Il Mattino a tornare nuovamente sul concetto di internazionalizzazione. Con un editoriale dalla prima pagina “Perché va recuperato il rapporto con la città”. Il nodo è nella domanda che apre l’articolo: “C’è un filo che lega i concetti di internazionalizzazione e di napoletanità a proposito di futuro del Napoli?”. Per Il Mattino quello dell’internazionalizzazione è – letterale, credeteci – “un concetto da maneggiare con cura, perché si rischia di far indossare le maglie azzurre a professionisti che non avvertono il forte legame tra la squadra e la gente”. Non solo, il quotidiano di via Chiatamone aderisce allo striscione esposto in curva domenica sera, e lo scrive anche: “Non c’era retorica in quello striscione esposto al San Paolo nell’amarissima serata della partita contro la Lazio: «2016 maglia sudata»”. È scritto proprio così.

Maglia sudata è lo slogan che Il Mattino fa proprio. Scrive di squadra non predisposta al sacrificio e alla passione (come se – aggiungiamo noi – l’Inter del triplete fosse stata composta da undici milanesi). E addirittura rispolvera Paolo Cannavaro. «È opportuno oggi chiedersi se lo spagnolo Albiol, ex campione del mondo e d’Europa, abbia offerto in due anni prestazioni superiori al napoletano Paolo Cannavaro, capitano trattato come una scarpa vecchia». E che, aggiungiamo, dopo essere stato corteggiato da club di mezza Europa ha preferito accasarsi al Sassuolo. Immaginiamo che conterà poco anche ricordare che per Opta, 

la più grande agenzia mondiale di studio analitico delle partite di calcio, il rendimento di Albiol (91esimo in serie A) è stato nettamente superiore a quello di Cannavaro (161esimo). Così come ricordare l’ultima prestazione di Cannavaro con la maglia del Napoli, a Roma, quando si rese protagonista dei falli che provocarono la punizione poi segnata da Pjanic e il rigore su Borriello.     



“I dati del botteghino, in calo, gli striscioni esposti contro il presidente e i fischi indirizzati ai giocatori sono segnale di disaffezione?”, si chiede il quotidiano. Che aggiunge: non bastano, secondo Il Mattino, le sortite culturali di Benitez, il Napoli deve riannodare un rapporto con Napoli. Tutto questo nel giorno in cui il quotidiano ospita un intervento di Guido Clemente di San Luca, ex te diegum, ovviamente tutto implicitamente rivolto al Napolista, titolato: “Se il sogno internazionale diventa provinciale”.

Che cosa dire che non abbiamo già abbondantemente scritto? Innanzitutto ricordiamo che questa “polemica” cominciò all’indomani di Napoli-Chievo, quando scrivemmo un articolo dal titolo “La mentalità ultras sta contagiando Napoli”: ci sorprendemmo, e non poco, che “compagni di percorso” quasi avallassero striscioni del tipo “vogliamo lo scudetto o per te sarà un anno maledetto” e dessero sfogo a una rabbia da stadio. Cominciò tutto lì. Qualcuno (de Giovanni) se ne sentì ferito, ma questa è una polemica di idee, non c’è nulla di personale verso nessuno; qualcun altro (Trombetti) ci ha rimuginato e ha saputo anche fare marcia indietro. Nove mesi dopo, Il Mattino torna a far propria la contestazione dei tifosi organizzati. Aderisce al concetto di “maglia sudata” e quasi arriva a scrivere “meritiamo di più”. Sfortunatamente proprio nel giorno in cui un’altra testata, il Corriere dello Sport, pubblica la notizia di un’aggressione che sarebbe avvenuta domenica sera ai danni di Andujar e Higuain all’uscita dallo stadio.

Continuiamo a pensare che il giornale della città (ma anche di quartiere eh) non possa aderire agli striscioni esposti dai tifosi organizzati. Fino a mettersi praticamente alla testa di un movimento di idee in tutto sovrapponibili a quelle esposte la domenica al San Paolo. Torniamo alla Napoli che non solo non deve cambiare (Funiculì Funiculà, protagonista del film cult “No grazie, il caffè mi rende nervoso”), ma non deve nemmeno viaggiare. Insomma siamo sempre a quella macchinetta da caffè per una persona del vecchio professore in Scusate il ritardo. La genialità di Massimo Troisi recentemente ripresa da Antonio Pascale nel suo ultimo libro “Non scendete a Napoli”: “Il massimo della solitudine, una tazzina, cioè questo non spera mai che venga a trovarlo qualcuno”, dice Troisi nel film a Giuliana De Sio. «Chi è il vecchio professore? – scrive Pascale – È una brava persona, ma molto legata al suo appartamento, alle sue cose, al suo scoglio insomma. Il professore rappresentava, allora, una vecchia idea di Napoli, una città culturalmente incapace di cambiare”.

Eppure, in quegli anni, gli Ottanta, Napoli espresse – tra gli altri – Troisi e Pino Daniele, emblemi di una diversa concezione dell’essere napoletano, aperti al confronto, da esportazione, non certo accartocciati su sé stessi. Anzi. Tra l’altro fu proprio quando interpretò il romanzo di un cileno che Troisi fu candidato all’Oscar. Napoli dà il meglio di sé quando guarda oltre. Ed è Napoli anche quella. Una Napoli che non teme lo straniero, che non si arrocca, che non diffida, che non si rifugia nella pizza e nel mandolino. Una Napoli che vive e lavora, in città e fuori città. Sei milioni di tifosi, ripete il presidente De Laurentiis. Ebbene, cinque vivono lontano. E del milione rimasto non certo tutti aderiscono al pensiero del Mattino. Così come chi vive a Berlino o a Londra non è meno tifoso di chi abita a via Diocleziano. Il Napoli non è patrimonio di chi vive in città e magari aderisce al “meritiamo di più”. È supponente e presuntuoso pensarlo, e riduce ancora una volta Napoli a un’oleografia che non ci appartiene. Nessuno ha il diritto di autoproclamarsi ambasciatore o sindacalista del tifoso. L’arrivo di Benitez e le divisioni che ha provocato ne sono la lampante dimostrazione. Benitez non si è accucciato alla Napoli da cartolina, ha osato proporre schemi (non di gioco) diversi, che andassero al di là degli stereotipi. Anatema.   

Ma c’è una Napoli – ampia, numerosa, in città e fuori – che è già internazionalizzata, che non ha paura dello straniero, che nel proprio quotidiano ha rapporti col resto d’Europa e del mondo e che mai e poi mai, tanto per fare qualche esempio, può credere che le partite si vincano con i ritiri punitivi o si è attardata solo per un attimo a rimpiangere Paolo Cannavaro. Rimpianto invece, evidentemente, da una parte dell’ambiente napoletano non per questioni tecniche ma per reazioni di campanile.

Una Napoli che ritroviamo sul Mattino quando non si occupa di calcio. Quando, ricordiamo, il quotidiano diretto da Barbano affidò a Nicola Piovani la replica a Roberto de Simone che aveva accusato Eduardo di non essere rimasto nel solco della tradizione di Scarpetta. E Piovani, che chiuse il dibattito, tenne una lectio in cui spiegò che fu proprio quello il motivo della grandiosità di Eduardo: l’abbandono della tradizione.  

Altro che rinnegare i propri connotati antropologici, come scrive Clemente. È la stessa idea che in tanti hanno nel resto d’Italia e del mondo: pensano che ci svegliamo al suono della tarantella e che mangiamo gli spaghetti con le mani. Se è offensivo essere etichettati così lontano da Napoli, figuriamoci nella nostra città. E Maradona non c’entra niente. Maradona fu Maradona. Irripetibile. 
 
Mentre scriviamo, a Madrid (non a Sassuolo) stanno allestendo la sala per presentare Rafa Benitez, l’ingrato (come ha titolato ieri Il Mattino). Dal Napoli al Real. Evitiamo di tornare al 1492, oggi le caravelle ce le possiamo costruire come vogliamo, anche in 3D. Sì, pure a Napoli.
Massimiliano Gallo

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