Al Telegraph ricorda quel che accadde dopo la finale dello scorso anno: «Quando andai alla Roma nessuno sognava la finale di Europa League»

Mourinho ha rilasciato una lunga intervista al “Telegraph” dove ha parlato di futuro e ricordato i successi del passato.
Il ricordo di una delle sue celebrazioni più bizzarre.
«Ho avuto così tanti festeggiamenti bizzarri nel corso della mia carriera, ma quello è probabilmente quello che ha cambiato la direzione della mia carriera».
Mourinho parla della corsa dalla linea laterale dell’Old Trafford per celebrare il gol nel finale del centrocampista Costinha che ha proiettato il suo Porto ai quarti di Champions League eliminando la mitica squadra di Ferguson.
«L’altro giorno, ho incontrato un ragazzo per strada che diceva: ‘Quando rivivremo in Portogallo una cosa del genere?’. Gli ho detto che possiamo vincere gli Europei tra un paio di mesi perché abbiamo un incredibile squadra nazionale, la migliore di sempre. Ma con un club che vincerà ancora la Champions League in Portogallo? Vediamo se lo faremo nei prossimi vent’anni».
Mourinho: «In Inghilterra ho fatto la differenza grazia al mio modo di allenare non tradizionale»
Molti bravi allenatori hanno fallito al Chelsea. Perché non Mourinho?
Lui dice di avere una certa sensibilità con le squadre inglesi, soprattutto grazie alla lunga collaborazione con Robson: «L’Inghilterra era sempre presente nella sua giornata. Sapevo che dal punto di vista metodologico avrei potuto fare subito la differenza perché il mio modo di allenare era abbastanza lontano da quello tradizionale».
Mourinho sottolinea come la gente dimentichi spesso le due finali Europee raggiunte negli ultimi due anni con la Roma:«Sono l’unico allenatore europeo ad aver giocato due finali negli ultimi due anni. Concentriamoci sul mio presente. Non sono colpevole di aver vinto la Champions League 20 anni fa. Ma se vai dal 90% degli allenatori e chiedi loro: “Vorresti giocare due finali europee in due anni consecutivi?”, la maggior parte di loro risponderà “Sì”».
L’ex allenatore della Roma parla del pre-concetto per cui debba allenare solo club programmati per vincere trofei: «Non è che ho paura di lavorare [con i club] non “fatti per vincerli”. Quando alcuni [allenatori] hanno raggiunto un certo livello forse dicono: “Lavorerò solo per progetti fatti per vincere”. Il mio lavoro è cercare di rendere i club “fatti per vincere”, o per raggiungere degli obiettivi».
I club hanno paura della sua fama? «La descrizione del lavoro dei miei sogni è “head coach” (capo allenatore). Questo è il mio sogno. Essere l’allenatore. Per essere colui che lavora con la squadra, concentrato sullo sviluppo dei giocatori, sulla preparazione delle partite».
Poi continua: «Fortunatamente ho avuto questo nella mia carriera. Sfortunatamente, ho avuto altre situazioni in cui dovevo essere molto più di questo. Quando sei molto di più non sei un allenatore bravo come potresti essere. Il club ti mette in una posizione dove non voglio essere. Pensi che dopo la finale di Europa League che abbiamo perso, nelle circostanze in cui abbiamo perso, fossi felice con tutta l’emozione che ho provato? Credi che fossi felice di essere il volto del club che è andato in conferenza stampa per parlare di quello che è accaduto? No, ho odiato andarci».
«Datemi una struttura professionale in cui io sia solo l’allenatore perché questo è ciò in cui sono bravo. La gente dice che sono bravo a comunicare. Molte, molte volte dici le cose sbagliate. Soprattutto quando comunichi tre o quattro volte a settimana. La struttura di un club mi spinge nella direzione sbagliata».
Sul futuro: «L’unica cosa che voglio è che i traguardi e gli obiettivi vengano stabiliti da tutti in modo equo. Non posso andare in un club dove, per via della mia storia, l’obiettivo è vincere il titolo. Quello che sto dicendo è che le persone [dovrebbero] guardarmi nel modo in cui guardano gli altri. Quello che è importante per me è che il club abbia degli obiettivi e che io possa dire che sono pronto a lottare per questi. Non voglio dire realistico, ma [almeno] semi-realistico. Perché quando andai alla Roma nessuno sognava la finale di Europa League e noi ce l’abbiamo fatta. Non è possibile che vada in un club quasi retrocesso e l’obiettivo sia vincere la Champions League. Va bene, ma non è giusto».