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Il Napoli ha mostrato segni di guarigione ma non è la guarigione che ci aspettavamo

Migliorati condizione fisica e pressing, ma molte azioni sembrano random. Kvara fa troppa fase difensiva e Osimhen è sfruttato male

Il Napoli ha mostrato segni di guarigione ma non è la guarigione che ci aspettavamo
Mg Napoli 24/09/2023 - campionato di calcio serie A / Bologna-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Leo Ostigard-Victor Osimhen-Natan Bernardo de Souza-Michel Aebischer-Lewis Ferguson

Il miglior Napoli possibile (ma non può essere solo questo)

Il Napoli ha pareggiato 0-0 in casa del Bologna, e l’ha fatto al termine di una partita giocata in modo discreto. Anzi, il confronto con l’andamento inquietante degli ultimi tempi – la seconda frazione con la Lazio e le partite contro Genoa e Braga – permette di pescare e usare termini più impegnativi: il Napoli visto a Bologna ha palesato dei miglioramenti significativi. Soprattutto in fase di non possesso, la squadra di Garcia è stata sempre corta, sempre concentrata, sempre precisa. Merito di un’evidente crescita fisica da parte dei giocatori, Anguissa su tutti, e anche dei correttivi tattici e di atteggiamento apportati del tecnico francese. Ovviamente, ne parleremo.

Tutta questa premessa, però, può – anzi: deve – essere letta, vista e anche vissuta come un’aggravante. Come un segnale negativo. Per un motivo semplice: il miglior Napoli visto dai tempi della partita contro il Sassuolo, ormai un mese fa, un Napoli più solido e più corto e più tonico e continuo fisicamente, ha prodotto poche occasioni da gol. Ecco l’elenco completissimo: un palo dopo 4′, un rigore procurato e 4 tiri in porta comodamente parati da Skorupski. Se proprio vogliamo segnalare un’altra occasione potenzialmente pericolosa, c’è il tiro da fuori di Raspadori a un soffio dall’intervallo. Stop, fine delle trasmissioni.

Per dirla brutalmente: il Napoli non può essere solo questo. Deve giocare meglio, deve essere più produttivo in attacco. E doveva già esserlo a questo punto della stagione. Soprattutto perché parliamo di una squadra reduce da uno scudetto vinto in modo netto, dominando il campionato e la stragrande maggioranza degli avversari. Il problema del calcio di Garcia, semplice ed elementare al limite dell’utilitaristico, è proprio questo: la mancanza del risultato, che resta un dato decisamente più casuale (e se Osimhen avesse segnato il rigore?) rispetto alle prestazioni, fa crollare l’intera impalcatura. Determina il giudizio. Ancor più se torniamo con la mente ai cambi un po’ strani – eufemismo – fatti nel finale. Un altro aspetto di cui parleremo e che – secondo chi scrive, ovviamente – dipende in modo strettissimo dai problemi tattici manifestati finora dal Napoli.

Pressing intelligente

Ma andiamo con ordine, e partiamo dalle scelte di formazione. Il Napoli è arrivato a Bologna indossando il suo classico vestito tattico (4-3-3 in fase di possesso, alternanza tra 4-4-2 e 4-5-1 in fase difensiva) e con la coppia Ostigard-Natan all’esordio assoluto – per cause di forza maggiore. Per il resto, le scelte di Garcia hanno privilegiato la continuità: Di Lorenzo e Olivera laterali bassi, centrocampo a tre con Anguissa-Lobotka-Zielinski e Osimhen-Kvatarskhelia in avanti. L’unica novità è stato l’inserimento di Raspadori a destra al posto di Politano.

Il Bologna, invece, ha optato per una disposizione a dir poco inusuale. Non tanto nella definizione numerica del modulo di gioco, in questo senso si potrebbe parlare di 4-2-3-1, quanto di spaziature e posizionamento in campo: Thiago Motta – che, nel postpartita, ha detto chiaramente di aver voluto «frustrare il gioco del Napoli» – ha letteralmente ammassato giocatori in zona centrale. In modo che la squadra di Garcia non potesse fare altro che muovere la palla sugli esterni. Ha funzionato, e sono dei dati bulgari a dirlo in modo inequivocabile: il Napoli ha costruito addirittura l’85% delle sue azioni offensive sulle due fasce, 45% a destra e 40% a sinistra. Sotto, trovate le immagini del blocco difensivo proposto da Motta:

Nelle due immagini in alto, si vede come il Bologna ha chiuso sempre tutti i corridoi centrali, forzando il Napoli alla giocata sugli esterni o al lancio lungo; sopra, a conferma di tutto ciò, le posiioni medie delle due squadre nel primo tempo. Nel campetto del Bologna trovate 12 giocatori per via del cambio Posch/De Silvestri.

Da parte sua, come detto anche in apertura, il Napoli ha offerto una prova piuttosto solida dal punto di vista difensivo. Il palleggio ricercato costantemente dal Bologna (a fine partita la percentuale grezza di possesso palla è risultata sostanzialmente in parità) è stato contenuto in maniera serena dagli azzurri, grazie a un’evidente disponibilità da parte di tutti i calciatori in campo. La squadra di Garcia ha tenuto un baricentro altissimo, posto addirittura a 60 metri nel primo tempo, eppure non si sono viste le praterie lasciate agli avversari come in occasione di Napoli-Lazio e anche di Braga-Napoli. Merito di rientri profondissimi da parte di tutti i calciatori in campo. E anche la linea difensiva si è mossa in modo quasi sempre armonico, sincronizzato.

In alto, la linea a quattro del Napoli tiene benissimo il campo mentre Lobotka scherma il portatore del Bologna, che ha saltato il primo pressing, sopra, invece, vediamo l’intera squadra di Garcia – a esclusione di Osimhen – a protezione dell’area di rigore.

Quello del Napoli, insomma, è stato un pressing intelligente. Anche perché selettivo: aggressivo e intenso quando il possesso del Bologna era realmente contestabile, più guardingo – anche se raramente conservativo – nei momenti in cui la squadra di Thiago Motta riusciva a superare la prima linea di pressione. Quindi si può dire che ci sia stato un buon lavoro collettivo in questa fase di gioco. Proprio collettivo è il termine-chiave della buona prestazione difensiva del Napoli a Bologna. Perché tutti, ma proprio tutti, hanno dato un contributo importante nella fase di non possesso. A dirlo sono i numeri: Kvaratskhelia, per dire, ha messo insieme 7 eventi difensivi, più di qualsiasi altro calciatore del Napoli; anche Raspadori è arrivato a quota 3, Lobotka e Anguissa a 4.

Povertà offensiva

Sono proprio questi, però, i numeri che devono far riflettere. Se il Napoli ha bisogno dei 7 interventi difensivi di Kvara per dare la sensazione di essere solido, se il georgiano – ma vale anche per gli stessi Raspadori, Lobotka, Anguissa – deve dare così tanto in fase difensiva, è difficile chiedergli di essere anche creativo e lucido in attacco. Sì, ok, il Bologna ha creato pochissimo: 4 tiri complessivi, solamente 2 nello specchio di porta. Ma questa efficacia difensiva ha avuto un costo molto alto in fase offensiva, laddove il Napoli ha offerto una prestazione a dir poco povera. A dirla tutta, quindi, le scelte di Garcia – dopo due mesi di lavoro e sei partite ufficiali – dimostrano come la sua squadra non possegga ancora degli strumenti che gli permettano di controllare la partita senza doversi spremere tanto in fase difensiva. E che gli permettano di rimanere equilibrata risultando anche pericolosa in avanti.

Il calcio di oggi è uno sport molto meno sequenziale rispetto al passato. Nel senso che sì, in allenamento si continua a lavorare alle varie fasi di gioco – possesso, non possesso, transizioni positive e negative – in modo diverso, ma la periodizzazione è decisamente più sfumata, le strategie d’attacco sono la base per difendere bene. E viceversa. Il Napoli di Garcia, invece, dà l’impressione di procedere (in modo non proprio spedito, ma ci siamo capiti) lavorando per blocchi: a Bologna, l’abbiamo detto, si è percepito un evidente miglioramento nel pressing e nella difesa; ma la costruzione del gioco è rimasta fin troppo semplice. Fino al punto da diventare banale. E a confermarlo sono proprio le (poche) azioni pericolose create dagli azzurri.

Vi ricorda qualcosa?

Raspadori che si muove dentro il campo sulla sovrapposizione esterna di Di Lorenzo, Ostigard che serve il capitano allargando il gioco, palla interna su Raspadori e lancio immediato alle spalle della difesa, per premiare Osimhen che attacca la profondità. Questa è un’azione-caposaldo del Napoli dello scorso anno che è stata riprodotta al Dall’Ara. E che ha funzionato, pure piuttosto bene. Il punto, però, è che questo meccanismo non si è più visto. A dirlo sono gli highlights della partita e anche i dati: Raspadori non ha più fatto lanci di questo tipo, Kvaratskhelia non ci ha provato nemmeno una volta; Politano, che l’anno scorso cercava questa soluzione in modo ossessivo, ha messo insieme un solo lancio lungo.

Non c’è bisogno di andare avanti con i numeri: è ormai certificato che questa azione sia rimasta un episodio a sé. Questo non vuol dire che il Napoli non l’abbia provata in allenamento, non possiamo saperlo. Ma se è stata provata, allora non è stata ripetuta abbastanza in partita. Certo, l’atteggiamento difensivo del Bologna avrà anche sfavorito un meccanismo del genere, non c’è dubbio. Ma resta il fatto che il Napoli di Garcia non trasmette più quella perenne tensione verticale che aveva permesso a Osimhen, un anno fa di essere un pericolo costante per le difese avversarie. O, quantomeno, di tenere costantemente sul chi va là i centrali avversari, che in ogni istante potevano aspettarsi un lancio come quello di Raspadori appena sopra. Un lancio che, ripetiamo, magari non sarà casuale. Ma nel Napoli di Garcia è come se lo fosse.

Cosa vuol dire avere Osimhen

Ecco quello che intendiamo: chi ha Osimhen, e non riesce a ripetere giocate come quella di Raspadori al quarto minuto, dovrebbe cercare più spesso soluzioni come questa. Dovrebbe farsi attaccare e poi scatenarsi in contropiede. Qui, per esempio, il Napoli chiude benissimo su una conduzione di Zirkzee a palla scoperta; anche se il primo pressing è stato saltato, nel video non si vede, la difesa della squadra di Garcia retrocede coi tempi giusti e serra benissimo gli spazi. A quel punto, con tanti uomini del Bologna nella metà campo avversaria, c’è spazio per lanciare il pallone verso Osimhen, in campo aperto. E così si determina una buona rotazione, Raspadori accompagna bene e trova anche una conclusione potente. Solo un po’ imprecisa.

Questa è una bella azione, si può dire tranquillamente. Eppure non ce ne sono state altre simili nel corso della partita. O meglio: il Napoli ha pure provato a sfruttare le caratteristiche di Osimhen, la sua capacità di divorarsi il campo in spazi larghi, ma non è più riuscito a essere così pericoloso. Anche perché, e qui torniamo al discorso precedente, se gli esterni offensivi e/o le mezzali devono fare dei rientri profondissimi in fase difensiva, per loro diventa più difficile seguire a rimorchio l’azione di Osimhen. E il tempo che passa nel corso della partita rende il tutto ancora più complesso, perché le energie vengono a mancare.

Zielinski + Kvara

Infine, ecco il rigore. Le immagini parlano da sole: l’azione nasce da un duetto di grande qualità tra Zielinski e Kvara, con il georgiano che dimostra di poter dare ancora tanto, se – e solo se – viene azionato in un certo modo, se gli si dà la possibilità di sfruttare le sue caratteristiche. Anche su questa azione, quindi, si fa fatica a individuare la mano di Garcia. È chiaramente un’improvvisazione jazz, viene da dire, di due calciatori di primo livello. Osimhen, dal dischetto, sciuperà tutto con un tiro troppo largo, carico di paura.

Un Napoli pauroso

La paura. Anche questa è una delle chiavi della partita di Bologna. Perché la tattica calcistica, per quanto teorica e inestricabilmente legata al lavoro in allenamento, alla fine si contamina inevitabilmente con l’emotività. Con le sensazioni, le gioie e/o i problemi del momento. I rigori si possono sbagliare sempre, in ogni situazione, e forse il Napoli avrebbe anche meritato il vantaggio. Ma è stato chiaro a tutti che quel tiro di Osimhen dagli undici metri era l’occasione migliore che potesse capitare, forse anche l’unica possibile, perché il Napoli riuscisse a cambiare il flusso della gara. Come detto tra le righe finora, il lavoro di Garcia in questi tre giorni dopo Braga sembra aver partorito un Napoli prima attento e poi spavaldo, prima difensivo e poi offensivo. Come se l’obiettivo da cogliere a Bologna fosse limitare i danni, per poi cercare di strappare una vittoria.

Non è certamente così, tutto il Napoli si è impegnato molto e ha cercato fino alla fine di cambiare il risultato. Ma resta il fatto che le poche occasioni mostrate in questa analisi corrispondono più o meno all’intera produzione offensivo degli azzurri. Per il resto, abbiamo visto il solito possesso sterile – basato sulla salida lavolpiana di Lobotka o Anguissa accanto ai centrali difensivi – e il solito smottamento in avanti dei terzini, con Zielinski che prova a condurre palla e armare Kvara. Tutto questo, però, mentre il Bologna faceva muro – abbiamo spiegato prima in che modo – e mostrava una certa spavalderia a ogni uscita dal basso. Poi la (relativa) qualità dei giocatori offensivi di Thiago Motta e la buona partita difensiva del Napoli hanno permesso, appunto, che i rossoblu non facessero danni.

I cambi di Garcia

Un altro segnale nebuloso lanciato da Garcia riguarda i cambi. Parleremo tra poco della scelta di togliere prima Kvaratskhelia e poi Osimhen, prima parliamo un attimo di tattica pura: perché l’allenatore del Napoli, a Bologna e sullo 0-0, non ha derogato dal 4-3-3? Attenzione: non stiamo dicendo che Osimhen avesse ragione, che sarebbe dovuto entrare Simeone al posto di un centrocampista, ma che – giusto per fare un esempio – l’ingresso di Lindstrom e/o di Elmas come sottopunta e il passaggio al 4-2-3-1 avrebbero una fisionomia diversa al Napoli negli ultimi minuti. Garcia, per dirla in parole povere, avrebbe fatto un tentativo diversificato. E invece gli azzurri, con Elmas e Simeone e Cajuste al posto di Kvaratskhelia e Osimhen e Lobotka, hanno continuato a disporsi con il solito modulo. Anzi, i cambi hanno completamente depotenziato la fase offensiva della squadra di Garcia.

A questo punto, come promesso, è inevitabile parlare dei risvolti politici delle scelte di Garcia. L’opinione di chi scrive, ripetiamo, è che i cambi strani di Garcia dipendano dai problemi tattici manifestati finora dal Napoli. Il tecnico francese, in pratica, ha deciso di affermare ed esercitare la sua leadership nell’unico modo in cui può farlo, visto che non ha un reale ascendente tattico sulla squadra: con i cambi, solo con i cambi, con delle sostituzioni che hanno un significato e anche un valore che si potrebbe definire punitivo. Magari – anzi: sicuramente – Garcia lo ha fatto in buona fede, per far riposare davvero Kvara e Osimhen. Ma è già successo in altre occasioni. Gli indizi cominciano a essere tanti. E non sono quindici o dieci minuti in meno a determinare il turn over e quindi il giusto riposo. Soprattutto se la gara Bologna-Napoli è ancora sullo 0-0.

Conclusioni

Insomma, il Napoli di Garcia non è ancora guarito. Da alcuni punti di vista, in realtà, si intravede un cono di luce in fondo al tunnel. Ma, lasciateci dire, non è la guarigione che auspicavamo. Che servirebbe. La squadra azzurra, continuiamo a sostenerlo, avrebbe bisogno di conoscere e sviluppare e allenare dei meccanismi che gli permettano di accendere i talenti che ha a disposizione. Di farlo più spesso, quantomeno non in modo sporadico  e/o casuale. Certo, la sensazione di aver recuperato la solidità difensiva rappresenta un passo in avanti. Ma il punto è che i risultati restano deludenti – almeno quanto le prestazioni.

L’abbiamo scritto all’inizio di questa analisi: un tecnico come Garcia, che predica un calcio non sofisticato o comunque pragmatico, deve per forza di cose portare dei risultati. È questa la sua essenza, quella del tecnico francese – l’abbiamo capito – è un’ideologia randomica e quindi rischiosa per definizione. Il rigore di Osimhen grida vendetta a una prestazione discreta, siamo d’accordo, ma l’azzardo è proprio questo: con pochi punti in classifica e a -7 dall’Inter, al Napoli di oggi non resta molto altro. In assenza di prestazioni convincenti, Garcia dovrà trovare il modo per cambiare l’andamento delle cose. Oppure dovrà cambiare se stesso. Delle due l’una, non è che ci siano tutte queste alternative. E sta cominciando a scarseggiare anche il tempo.

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