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Aia, Trentalange si è dimesso dalla carica di presidente

Il capo degli arbitri alla fine ha deciso di fare un passo indietro dopo lo scandalo che ha colpito il mondo arbitrale con il caso D’Onofrio

Aia, Trentalange si è dimesso dalla carica di presidente
Db Milano 17/10/2022 - Gran Gala' del Calcio Aic 2022 / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Alfredo Trentalange

Il presidente dell’Aia, Alfredo Trentalange, si è dimesso. Il numero uno degli arbitri, alla fine, ha deciso di fare un passo indietro dopo lo scandalo che ha colpito l’Aia con l’arresto, nelle settimane scorse, del procuratore capo Rosario D’Onofrio, nell’ambito di un’indagine sul traffico internazionale di droga. L’Aia ha ufficializzato le dimissioni di Trentalange con un comunicato stringato ma esauriente.

“Alfredo Trentalange ha rassegnato le dimissioni dalla carica di Presidente dell’Associazione Italiana Arbitri. Questa sera, alle ore 21, i Componenti del Comitato Nazionale dell’AIA incontreranno in videocall i Presidenti delle rispettive macro regioni per spiegare le ragioni di questa scelta”.

Una decisione che arriva inattesa, anche in considerazione di quanto dichiarato dallo stesso Trentalange a inizio dicembre. Trentalange risponde a quanti chiedevano le sue dimissioni.

«Ho preso atto con stupore e amarezza del contenuto della comunicazione inerente la chiusura dell’istruttoria della Procura Federale relativamente al caso D’Onofrio, anche se è bene precisare che non si tratta di un deferimento a mio carico. In tal senso ho chiesto di essere sentito con estrema sollecitudine dal Procuratore, Giuseppe Chinè, non solo a mia tutela ma soprattutto nell’interesse di tutta l’Associazione Italiana Arbitri. Tengo a chiarire che non ho nessuna intenzione di dimettermi».

Ad aver chiesto le dimissioni di Trentalange era stato anche il ministro dello Sport, Andrea Abodi, che, a margine di un convegno presso il Coni, aveva detto:

«Il caso D’Onofrio riguarda una categoria che io ho sempre rispettato e difeso e di fronte alla quale sono pronto a qualsiasi sacrificio personale perché possa essere ribadita e preservata la sua integrità morale. Quindi sono sorpreso che di fronte a fatti come questi nessuno abbia sentito il bisogno di dire: “sono a disposizione”, perché questo va molto al di là delle decisioni che vanno prese, dà il senso della responsabilizzazione, che a volte non è tanto quella di aver commesso il fatto, ma quella di non aver compreso il fatto».

 

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