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Abodi su arbitri e caso D’Onofrio: «Sono sorpreso che nessuno abbia sentito il bisogno di dimettersi» 

Il ministro dello Sport: «Questo avrebbe dato il senso della responsabilizzazione, che non è tanto aver commesso il fatto, ma non averlo compreso»

Abodi su arbitri e caso D’Onofrio: «Sono sorpreso che nessuno abbia sentito il bisogno di dimettersi» 
An Milano 17/11/2014 - premio internazionale 'Il bello del calcio' / foto Andrea Ninni/Image Sport nella foto: Andrea Abodi

Abodi su arbitri e caso D’Onofrio: «Sono sorpreso che nessuno abbia sentito il bisogno di dimettersi»

A margine di un convegno presso il Coni di un paio di giorni fa, il ministro dello Sport ha parlato anche del caso D’Onofrio. Il procuratore capo dell’Aia è stato arrestato nelle scorse settimane per traffico internazionale di droga. Un avvenimento che ovviamente ha fatto molto discutere il mondo del calcio e non solo. Abodi si è detto sorpreso che nessuno, dopo l’esplosione del caso, abbia sentito il bisogno di dimettersi, di dire “sono a disposizione”. Sarebbe stato un gesto importante, ha chiarito, perché avrebbe dato il senso di una responsabilizzazione. A volte, ha detto Abodi, la responsabilizzazione non risiede nel fatto di aver commesso il fatto ma di non averlo compreso in tutta la sua gravità. Le dichiarazioni di Abodi sono passate un po’ in sordina, travolte dagli sviluppi dell’inchiesta sulle plusvalenze e gli stipendi della Juventus e dalla questione relativa alla rateizzazione del debito fiscale dei club di Serie A. Ma le parole del ministro dello Sport sono importanti, anche dure. Abodi avrebbe forse preferito che Trentalange si dimettesse, almeno facesse il gesto, dopo lo scandalo che ha travolto l’Associazione Italiana Arbitri e l’intero mondo del calcio.

Queste le parole di Abodi sul caso D’Onofrio-Aia.

«Il caso D’Onofrio riguarda una categoria che io ho sempre rispettato e difeso e di fronte alla quale sono pronto a qualsiasi sacrificio personale perché possa essere ribadita e preservata la sua integrità morale. Quindi sono sorpreso che di fronte a fatti come questi nessuno abbia sentito il bisogno di dire: “sono a disposizione”, perché questo va molto al di là delle decisioni che vanno prese, dà il senso della responsabilizzazione, che a volte non è tanto quella di aver commesso il fatto, ma quella di non aver compreso il fatto».

 

 

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