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Viva il calcio libero dei Mondiali: fantasia al potere e pochissima costruzione da dietro

Un ritorno al calcio naif, libero da esasperazioni tattiche. I ct sono protagonisti da romanzo, non tristi figuri che parlano del “mio calcio”

Viva il calcio libero dei Mondiali: fantasia al potere e pochissima costruzione da dietro
Brazil's forward #09 Richarlison celebrates scoring his team's first goal during the Qatar 2022 World Cup Group G football match between Brazil and Serbia at the Lusail Stadium in Lusail, north of Doha on November 24, 2022. (Photo by NELSON ALMEIDA / AFP)

Chi gioca in prima base? Chi, gioca in prima base. Più che altro: boh. E seppure fosse, quanto può essere lieve e affascinante, persino godereccio, questo Mondiale costruito sul “boh”? Anche il più meticoloso – e ambizioso – studioso della tattica faticherebbe a tracciare una linea comune, a dare una identità a questa competizione in Qatar. Sarà l’inverno al caldo del deserto, il periodo dell’anno poco congeniale alle avventure esotiche, ma tutto il pallone espresso in queste prime giornate può raccontarsi in un “a vanvera”. Si gioca, bene o male, senza troppo controllo. Senza l’ansia, l’affanno, la mania, di gestire ogni movimento, deviazione, tracciato. Si gioca, però. A folate. A prenderne tante, cercando di farne di più.

Poca costruzione dal basso – per i feticisti del genere rivolgersi al Belgio – pochi impianti di squadra costruiti per progetto. Automatismi ridotti all’osso. I ct sono una razza abituata a friggere con l’aria, non hanno la prossimità quotidiana degli allenatori di club; per cui niente “mio calcio”. C’è il calcio, però. Quello un po’ passatista, vintage, fatto di azioni scomponibili, lanci lunghi, invenzioni, madornali sfondoni. Un calcio libero, per certi versi. Un po’ naif. E meno europeo, nonostante poi sia l’Europa a prendersi la coppa ininterrottamente dal 2006. L’Europa che piazza 7 finaliste tra le ultime 8, 13 semifinaliste tra le ultime 16.

Questo è un Mondiale asiatico, e non solo per attinenza geografica. Lo è per spirito. Arabia Saudita e Giappone hanno firmato le due grandi imprese della prima parte: Argentina e Germania in kappaò tecnico più che tattico. La Corea ha scosso l’Uruguay. Manca l’Africa, certo, senza vittorie dopo cinque partite. Ma Marocco e Tunisia hanno fronteggiato bene Croazia e Danimarca, e Camerun e Senegal hanno perso con Svizzera e Olanda senza rovinarsi. Ha segnato solo il Ghana, finora.

È un Mondiale con un strano governo tecnico, commissariato da ct che sono romanzi ambulanti. Sanchez Bas, Gustavo Alfaro, Aliou Cissé, ma anche van Gaal, Carlos Queiroz, lo Scaloni della “Scaloneta”, il “Tata” Martino, quel vulcano francese di Hervé Renard e Luis Suarez, che si gode la “vida” in un Paese senza esercito, il Costa Rica. Un’enciclopedia di tigna, originalità, scorza e fantasia. Uomini di mondo prima che del Mondiale.

Un mondo in cui a memoria non si fa nulla, figurarsi giocare. Si pensa al momento, per un attimo, inseguendo le scintille, il divertimento, combattendo la frustrazione. E’ uno sport emozionale, meno architettato. Gli ingegneri delle grandi opere restano in laboratorio, a svernare. In letargo.

Questo è un Mondiale perfetto da rivendere in formato highlight, il nuovo Graal dell’economia dell’attenzione: troppi stimoli, troppe fonti, troppe cose da imparare, troppo impegno, campiamo di selezioni. È una Coppa del Mondo che se ne sta in parentesi, morbida e tonda, tra l’inizio e la fine dei nostri campionati esasperati, ingrugniti. Il malanimo si ferma alla sovrastruttura politica, ai diritti umani, alle ipocrisie della Fifa e delle federazioni pavide. In campo è tutto più fluido, sciolto, caciarone. E’ una partitella per strada, o almeno ci piace pensare che sia così. Ogni quattro anni si può fare: il “mio” gioco non è di nessuno. Chi gioca in prima base? Tutti, e che ce ne frega.

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