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Scaloni: «Un calciatore deve essere convinto di ciò che deve fare. Se ti volta le spalle, è finita» 

A El Pais: «Oggi, la cosa più importante è la testa. Ai calciatori cerchiamo di insegnare che si perde e si vince, ma che il sole, domani, sorgerà lo stesso».

Scaloni: «Un calciatore deve essere convinto di ciò che deve fare. Se ti volta le spalle, è finita» 
Argentina's coach Lionel Scaloni oversees a training session at Qatar University in Doha on November 18, 2022, ahead of the Qatar 2022 World Cup football tournament. (Photo by JUAN MABROMATA / AFP)

El Pais intervista Lionel Scaloni, commissario tecnico dell’Argentina. La sua prima partita ufficiale da allenatore è stata nella Copa América 2019. Prima, aveva lavorato solo come assistente e in categorie inferiori. Racconta:

«Un giorno ho incrociato il Maestro Tabárez, dopo un’amichevole con l’Uruguay. E mi ha detto una cosa che non dimenticherò: “Quando ti dicono che non hai esperienza, rispondi che ce l’hai».

Parla dell’Argentina.

«Questa squadra ha colpito le persone. I tifosi si identificano con il modo in cui sentono il calcio e giocano a calcio».

Continua:

«Quando abbiamo la palla, ci prendiamo cura di lei. Si può dire che siamo Menottisti. Ma quando non ce l’abbiamo, ci scaviamo dentro. Quindi, si può anche dire che siamo bilardisti. Abbiamo raggiunto un’armonia tra tifosi, dirigenti, giocatori… È qualcosa che è successo fin dall’inizio. Ti avvicinavi a un tavolo e vedevi un 35enne parlare con un 18enne e lui gli spiegava cos’era la Nazionale. Nell’ambiente si respirava una chimica diversa».

Scaloni racconta il rapporto che ha con i giocatori.

«Sono vicino a loro. Recentemente ho letto un’intervista ad Ancelotti in cui ha detto che prima di una partita ha parlato con un gruppo di giocatori. Gli hanno chiesto di giocare in modo diverso e lui li ha ascoltati. Ancelotti è un allenatore che ha vinto tutto e avrebbe potuto dire loro che si doveva giocare come aveva detto. Beh, mi piace. Ovviamente, le decisioni sono prese dall’allenatore. Ma è importante sapere cosa pensa il giocatore. Non puoi portare un calciatore in campo se non è convinto di quello che deve fare. Se il giocatore ti volta le spalle, è finita».

La cosa più importante è la testa.

«Oggi, la cosa più importante è la testa. A questi calciatori, che giocano tutti bene, bisogna togliere tutte le paure… Venivamo da tre finali perse e con giocatori che avevano la sensazione che non avrebbero vinto nulla con la Nazionale. Cerchiamo di trasmettere l’idea che il sole sorgerà domani lo stesso. Puoi perdere, puoi vincere…».

La testa dei giocatori la gestisce lo staff tecnico o hanno uno psicologo?

«Lo facciamo noi stessi. Mi dispiace per gli psicologi. Forse li userò più tardi, ma dallo staff tecnico trasmettiamo la nostra esperienza ai giocatori. È vero che, a volte, quando si perde una partita sembra che caschi il mondo. Ho perso una finale di FA Cup contro il West Ham. In effetti, mi hanno incolpato per l’ultimo gol. Non riuscivo nemmeno a dormire la notte. Per quello, il West Ham non mi ha comprato e sono venuto in Spagna. Ho sposato mia moglie e ho avuto due figli. Non mi sarebbe successo se fossi rimasto a Londra. Si rende conto di quello che gli sto dicendo? Il sole sorge sempre il giorno dopo».

E come viene gestito il successo?

«Se credi a te stesso più di quello che sei, sei morto».

Scaloni parla di Messi:

«È il più terrestre di tutti. A volte cammino per strada e qualcuno mi chiede un autografo. E va tutto bene. Poi possono chiederne un altro. E va bene. Ma il quinto di fila… beh… Perché dico che è il più terreno di tutti? Perché è un esempio. Lo ammiro. Basta vederlo entrare in un salone: lo osservano tutti, dal cuoco, al cameriere. Perché è colui che comprende meglio la normalità. Sa molto bene come comportarsi e ha sempre la parola giusta. Sa esattamente cosa ha da dire e quando deve dirlo».

Quando l’Argentina ha vinto la Copa America, la gente sembrava essere più felice per Leo Messi che per la nazionale.

«Il paese ne aveva bisogno. Ma, soprattutto, avere Leo e vederlo vincere. È vero, a volte sembra che la gente sia felice perché ha vinto Messi e non tanto perché ha vinto la Nazionale. Ma questo è ciò che rappresenta per il resto del mondo. E rappresenta lo stesso anche per i suoi colleghi. Penso che mezzo mondo sarebbe andato ad abbracciarlo al Maracanà».

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