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Dani Alves: «Il calcio non si gioca in campo ma negli spogliatoi»

Al Guardian: «Tutti vogliono calciatori forti fisicamente ma la corsa è un altro sport. Così tutti diventano dei robot. Il talento fa ancora la differenza».

Dani Alves: «Il calcio non si gioca in campo ma negli spogliatoi»
Tblisi (Georgia) 11/08/2015 - Supercoppa Europea / Barcellona-Siviglia / foto Imago/Image Sport nella foto: Dani Alves

Il Guardian ospita una lunga intervista al difensore del Brasile Dani Alves. Interessante il concetto con cui avvia l’intervista: il calcio si gioca negli spogliatoi.

«La gente pensa che il calcio sia giocato all’interno di quelle quattro linee bianche ma non è così: il calcio si gioca negli spogliatoi».

Ha 39 anni, non gioca da settembre, ma Tite lo ha voluto in Qatar. Lo definisce un “animale”. Per Dani Alves il fatto di non giocare da due mesi potrebbe essere positivo.

«Quando giochi il rischio di infortuni aumenta (scherza). Sono perfetto. Mentalmente e fisicamente sono pronto ad aiutare e non solo dall’esterno ma anche dall’interno. Quando hai un ‘buon piede’ è come andare in bicicletta: non si scorda mai».

Il Mondiale del 2018 non lo ha giocato per infortunio, non pensa che ci sarà al prossimo.

«La gente mi chiede perché gioco ancora a 39 anni. Perché amo questo gioco. Lo adoro. Non sono qui per perdere tempo. Amavo il calcio quando non mi pagavano. Ora lo fanno, benissimo, ma io gioco a calcio per le sensazioni che provoca».

Il tuo gioco è cambiato?

«Sono diventato più chirurgico. Puoi essere veloce quanto vuoi, ma la palla vola e non correrai mai così veloce. Il posizionamento conta: chi corre tanto, passa meno. Per me dominare questo gioco, padroneggiarlo davvero, non riguarda ciò che accade quando la palla è tra i miei piedi, ma prima che sia tra i miei piedi. È sempre stato così ed è ciò che mi rende diverso, ciò che mi dà un potere creativo che gli altri non hanno. La mia caratteristica è sempre stata quella di rompere modelli, sistemi, strutture. Non si tratta di passare la palla in area ma di vedere dove va il tuo compagno prima che ci arrivi».

Dani Alves continua:

«Le squadre sono concentrate sull’avere giocatori forti, giocatori che sono bestie fisicamente, ma il calcio è uno sport di buoni piedi. La corsa è un altro sport. Le persone si concentrano così tanto sul fisico che a volte mi chiedo: cosa conta? Cos’è un calciatore? Chi corre di più o chi gioca meglio? Quando ti concentri sulla fisicità riduci la capacità di un giocatore di creare, decidere, fare qualcosa di diverso. Tutto viene robotizzato. Si sta perdendo il potere della creazione. Se si elimina quella creatività si creano robot. Mai, mai perderla. La creazione è la cosa più bella che ci sia. La gente pensa che difendere sia il compito più difficile; no, no, attaccare lo è. Il talento fa ancora la differenza».

Per Dani Alves il Brasile è favorito e ha un briciolo di creatività più degli altri.

«In termini di creatività forse siamo un piccolo passo avanti agli altri ma questo non significa niente. Penso sempre che il Brasile sia favorito. La storia e la tradizione contano. Abbiamo sofferto molto negli ultimi anni ma c’è un gruppo molto solido, con un ‘guscio’ molto duro. Questo è il miglior camerino brasiliano degli ultimi anni. Buoni talenti, brave persone».

Merito anche di Tite.

«Tite gestisce il gruppo, prende il meglio da tutti e questa è la cosa più difficile nel calcio. Questo è il suo potere: la leadership, la relazione. Non credo di avere le parole per definire il potere che ha, la sua abilità».

Giocare per il Brasile ai Mondiali porta sempre un’intensa pressione

«La pressione c’è, sempre, in tutti gli ambiti della vita: un padre che ha bisogno di sfamare la sua famiglia vive sotto una pressione brutale. Mentalmente, hai bisogno di equilibrio. Devi essere trasparente, sincero. Il problema con il Brasile è che c’è un’aspettativa così grande sulla sua vittoria che se non viene soddisfatta può succedere di tutto. Dobbiamo essere un po’ più onesti nel calcio. Siamo in un momento incredibile, abbiamo un gruppo molto forte, ma questo significa che vinceremo il Mondiale. Devi pedalare. Pedala, fratello mio».

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