Alla Gazzetta: «Avrei voluto scegliere io quando dire basta, così è brutto, mi fa male. Oggi per i giovani è troppo facile: troppi soldi, si perde il senso della misura».
Ribery: «Al calcio lascio lo stile, la mentalità, la fame. Non sono stato il migliore, ma di certo diverso»
Ieri Franck Ribéry ha ufficializzato il suo addio al calcio giocato. Ha 39 anni e un ginocchio in pezzi, ha deciso di fermarsi. L’ultima passerella sarà oggi, all’Arechi, prima di Salernitana-Spezia. La Gazzetta dello Sport lo intervista.
«Nell’ultima settimana ho pensato un po’ di più a questo momento, ma la verità è che non ci arrivo davvero preparato. Ancora tre mesi fa mi sentivo bene. Un ritiro pre-campionato alla grande, poi le prime fitte al ginocchio dopo un triangolare a luglio. Alla prima di campionato contro la Roma ho giocato sul dolore. Non sono una persona fragile, ma per i 3 giorni successivi non sono riuscito a muovermi. I dottori hanno detto che la situazione era molto grave. Ho provato a recuperare. Non riuscivo a credere di essere costretto a smettere. Avrei voluto scegliere io quando dire basta».
Ribery invece non ha potuto.
«Invece il mio calcio è finito. Il giro di campo sarà un momento particolare e molto difficile».
Racconta di aver pianto, ieri, quando ha visto il video che commemora la sua carriera.
«Ieri ho rivisto il video commemorativo della mia carriera, e ho pianto. Ho una mia sensibilità, un cuore. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma così è brutto. È successo tutto molto di fretta. Troppo. E mi fa male».
Quando ha capito che era finita?
«Meno di un mese fa sono andato a Monaco di Baviera per un consulto. Pensavo: forse si trova una soluzione. Invece dovrò operarmi, ma solo per riuscire a condurre una vita normale. Però, appena sono rientrato alla Salernitana, tutti mi hanno aiutato. Mi hanno chiesto di restare in qualsiasi altro ruolo avessi voluto. Questo mi è servito a non pensare troppo».
Ribery entrerà nello staff di Nicola.
«Sono molto contento: in futuro vorrei allenare. Mi piace stare sul campo ed essere vicino alla squadra. Ai compagni ho detto che la cosa più difficile per me non era smettere, ma non poter aiutare loro tutti i giorni. Invece continuerò a farlo, in una città dove il calcio si vive come piace a me: con passione. E io sono innamorato del calcio. E poi il presidente Iervolino ha cambiato e sta cambiando le cose: si percepisce che c’è un progetto, una visione del futuro. Salerno merita grandi cose».
La partita simbolo della carriera di Ribery?
«La finale di Champions 2013, vinta col Borussia Dortmund».
Quella che vorrebbe rigiocare?
«La finale-Champions persa ai rigori col Chelsea».
Cosa lascia al calcio Ribéry?
«Tante cose, credo. Il mio stile di gioco, la mia mentalità, la mia fame. Sono uno venuto dalla strada, e forse oggi non sono più tanti che come me hanno il dribbling, il guizzo, la fantasia… Penso che sia questo che le persone ricorderanno del sottoscritto. Non posso dire di essere stato il migliore, ma certamente sono stato diverso».
E che calcio lascia?
«Noi siamo fortunati a fare questo lavoro che è gioco e passione. Venire tutti i giorni al campo ad allenarsi dev’essere un piacere. Oggi per i giovani a volte è troppo facile: girano più soldi, e coi soldi compri la bella macchina e altro ancora. E questo ogni tanto fa perdere il senso della misura. Perciò, vorrei dire loro: oh, amico, sai io dov’ero a 19 anni? Per la strada, in terza serie, dove non c’erano soldi, macchine, niente. Zero. Però ho lavorato, ho fatto sacrifici, e anche quando ho vinto tanti trofei che mi hanno fatto guadagnare tanti soldi, ho continuato ad avere la stessa fame. Ma certi valori non si possono trasmettere: stanno dentro di te. O ce li hai o no».
Ribéry, lei è stato uno dei primi cinque giocatori al mondo?
«Io? Sì».