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Ferrieri Caputi: «Ho fatto il corso arbitri perché i miei genitori non volevano che giocassi»

Sul Corsera il primo arbitro donna della Serie A. «Le serie dilettantistiche, per un arbitro, sono le più dure. Nel professionismo, lo dice la parola stessa, c’è professionalità»

Ferrieri Caputi: «Ho fatto il corso arbitri perché i miei genitori non volevano che giocassi»

Maria Sole Ferrieri Caputi: inizia ad essere un nome noto, anche se particolarmente lungo. La livornese è – così la definisce il Corriere della Sera – “la punta massima di un movimento arbitrale femminile che sta crescendo”. I numeri, come ha fatto notare Trentalange, sono ancora impietosi (1.834 donne su oltre 30mila arbitri), ma c’è una lieve inversione di tendenza. Dai 14 ai 18 anni ci sono donne che usufruiscono del doppio tesseramento, di giocare e arbitrare. Non è stato il destino di Maria sole.

«I miei genitori non volevano che giocassi — racconta —, ma erano altri tempi rispetto a ora. Il corso arbitri mi sembrò un’occasione da cogliere, nei primi anni fu soprattutto qualcosa da condividere con i coetanei. Sono già al lavoro per arrivare pronta all’inizio della stagione, spero di far capire alle ragazze che si può fare».

La carriera di un arbitro non ammette salti tripli, bisogna fare la scalata categoria per categoria.

«E quelle dilettantistiche, per un arbitro, sono le più dure: anche a me è capitato di non essere messa a mio agio. Ma nel professionismo, come dice la parola stessa, c’è professionalità. Il momento più bello? Dopo Cagliari-Cittadella, quando sono stata designata come quarto ufficiale per una partita di C a Pistoia, lo speaker dello stadio mi ha annunciata e dietro di me c’erano bambini che hanno iniziato ad applaudire»

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