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Pochettino è come i politici e i manager italiani: più falliscono, più trovano lavoro

“Con i campioni sono bravi tutti”. No, Pochettino no. È riuscito a perdere uno scudetto contro il Lille. Ma la sua aura di maestro di calcio gli consentirà di andare allo United

Pochettino è come i politici e i manager italiani: più falliscono, più trovano lavoro
Madrid (Spagna) 01/06/2019 - finale Champions League / Tottenham-Liverpool / foto Imago/Image Sport nella foto: Mauricio Pochettino

A Mauricio Pochettino la storia riconoscerà un merito: aver aggiornato quell’impolverato tormentone che recitava “coi campioni sono bravi tutti”. No, non tutti. La parabola del “gestore di star” che ancora agisce per diminutio sulle carriere dei più titolati allenatori del pallone – uno su tutti quello che ieri ha eliminato il Psg dall’Europa e che da queste parti è ancora accusato di non essere il maestro di calcio che Napoli evidentemente merita – è una panzana populista. Radicata nell’incapacità di ammettere i risultati altrui trovando sempre una giustificazione dei propri fallimenti. Pochettino è solo l’ultimo di una coda di “poveri” professionisti travolti dalla portata del fallimento più oneroso del pianeta calcio: il Psg.

Pochettino ora è un dead man training. Ha già il foglio di via in tasca. Sarà destituito a breve, perché l’onta ha bisogno del suo martire. E gli allenatori la buonuscita da capro espiatorio ce l’hanno come voce nel contratto. Lui stesso appena qualche settimana fa dettava a L’Equipe la consapevolezza del suo ruolo:

“Molte persone parlano senza sapere come vanno davvero le cose, riducono tutto a un punteggio. Un risultato positivo porta grandi benefici e un risultato negativo capovolge tutto. Non è così, ci deve essere equilibrio. Questo è ciò che rende il calcio tanto affascinante, con i suoi elementi di casualità e di ingiustizia. Il calcio non è razionale e la giustizia del calcio non è quella che si può applicare fuori dal campo. Anche il concetto di merito sul lavoro non si applica sempre”

Mentre la stessa Equipe stamane lo massacra, accusandolo di “non aver provato niente” per ribaltare ciò che il Real gli stava facendo, in Inghilterra gli hanno già trovato un altro posto: andrà al Manchester United. Pochettino è come i politici e i grandi manager italiani, s’è seduto su una giostra di poltrone girevoli. Più finisce trombato, più ricomincia per altri incarichi. Mandi sul lastrico un’azienda? Spunterà un altro posto in un cda qualunque. Nella bolla degli allenatori d’élite funziona altrettanto. È riuscito nell’impresa sportiva di non vincere il campionato francese, facendosi soffiare il titolo dal Lille di Galtier. Altro che Champions. Eppure ha il suo mercato, quasi intatto.

Vanta un credito ulteriore: ha l’etichetta di “maestro di calcio” appiccicata sul curriculum. Abbinata ad un’espressione pacioccona che lo tiene saldo al timone mentre fuori infuria la tempesta. Ha origini sabaude, Mauricio Roberto Pochettino Trossero: la compostezza è un argine all’esaltazione. Ma la sua carriera è una rappresentazione per metafora della classe operaia in paradiso per scambio. Chiamato a governare gli ingovernabili, rischia di andare a firmare un nuovo contratto – ricchissimo pure questo – nell’inferno di Manchester. Un posto, ha scritto il Telegraph, che è ormai “un cimitero di talenti”.

Quando Pochettino accettò il PSG, Jonathan Liew sul Guardian si chiese: che ci fa uno così nell’eden dell’individualismo, nella terra di Neymar? “Un mondo di agende e verità in competizione, dove tutto è calcio e tutto è qualcos’altro. Un marchio di lusso. La copertura di un governo autocratico. Una fabbrica di sogni magici. Dove tutto è vero. Ma niente è reale“.

Anche il suo percorso professionale è un po’ magico. Pochettino era quello che “sposta gli orizzonti, alza le aspettative, ridefinisce i confini del possibile”, scrivevano sempre in Inghilterra. Ora lo rivogliono team-builder. Fa niente che nel frattempo sia finito malmenato dal Psg. Lì, a Parigi, di tutta la favoletta della costruzione dal basso del sogno, non sapevano che farsene. Non volevano intraprendere un viaggio olistico di crescita e autorealizzazione. Se ne fottono. Volevano la verticalizzazione della gloria: comprare i migliori, vincere in due-tre passaggi. L’individualismo agonistico andava solo capziosamente alimentato. Sul campo la stessa tattica li ha battuti, ancora una volta.

“Il presente è tutto ciò che posso affrontare”, ha detto Pochettino mentre il Real danzava sulle macerie del suo non-progetto e lui aggiornava il suo profilo su Linkedin.

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