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Signora mia, quanto è brutta la Juve di Allegri. L’opinione pubblica si indigna, la Juve vince

Sconcerti non vede futuro, Forbes si interroga, Adani non ne parliamo. Lui incarnerà la Grande Bruttezza ma tra un rimpallo e una difesa a oltranza, porta i risultati a casa

Signora mia, quanto è brutta la Juve di Allegri. L’opinione pubblica si indigna, la Juve vince
Db Torino 17/10/2021 - campionato di calcio serie A / Juventus-Roma / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: striscione tifosi Juventus

Non ha aspettato nemmeno il terzo dei tre fischi d’Orsato, Allegri, per fiondarsi ad abbracciare Mourinho e farsi ingoiare con passo marziale dal tunnel dello Stadium. Scappava inseguito dal riverbero, passato presente e futuro, del “corto muso”: il suo incubo retorico peggiore. Al galoppo d’un cavallo zoppo, Allegri non riesce a scappare dal cliché equino. Colpa sua che l’ha battezzato regalandolo alle sala stampa del calcio, che di cose così abusano fino al coma enfatico. E colpa anche della traiettoria che ha preso la sua nuova vecchissima Juve. Vince, la Juve. Ma ora gli tocca affrontare l’altra faccia della critica che prima lo azzannava perché perdeva: vince male. E non si fa.

A leggerne oggi, dopo quattro faticatissime vittorie in campionato e una mezza impresa in Champions col Chelsea, fa sorridere il mix di autocompiacimento e grave preoccupazione con cui l’opinione pubblica sportiva osserva – un po’ schifata – questa raccolta differenziata di punti non esteticamente meritati. Mario Sconcerti, per esempio, scrive che “Allegri ha scelto una strada per riprendersi che a me sembra più di sopravvivenza che di conquista”.

Sconcerti premette che lui Allegri non lo discute, lo stima molto (siamo quasi al distintivo “ho molti amici Allegri”), ma si chiede: “C’è un’altra Juve oltre questa? Non basta dire che Allegri ha sempre dato molta importanza alla difesa, non si vince in Italia e in Europa giocando così. Questo non è un buon gioco nemmeno per una squadra di Allegri, questo è un calcio buono per aspettare che passi la tempesta”. E chiosa: “Ma se per aver equilibrio bisogna giocare un calcio così qual è il futuro?”.

Non è l’unico. Addirittura Forbes scrive che “è tempo di vedere qual è la visione dell’allenatore per questa squadra e se, a differenza dei suoi predecessori, Allegri riuscirà a trasmetterla con successo”. Gli stessi che all’indomani della vittoria coi campioni d’Europa ne elogiavano il capolavoro tattico, la difesa eroica, il trasformismo posizionale ed ulteriori menate, oggi hanno ripreso a corrucciarsi: dove può mai arrivare la Juve giocando così? Prima o poi dovrà fare i conti con questa Grande Bruttezza.

Figurarsi i suoi detrattori abituali. Lele Adani – leader dei “giochisti” e suo contestatore dai tempi di Sky – s’è detto deluso:

«Mi aspettavo che dopo due anni Allegri si sarebbe ripresentato con una lettura calcistica diversa, invece è sempre lo stesso. Al contrario di Mou, che è cambiato nella proposta: prova a vincere, anche al costo di perdere. Una nuova filosofia, con cui produci tanto e concedi tanto, che tu vinca o che tu perda».

I fatti dicono che Allegri ha vinto, Mourinho ha perso. Il concetto, però, è ribaltabile. Perché per il primo la vittoria è ragion d’essere, nel mondo d’Adani è evidentemente una eventualità accettabile.

Che Allegri sia più forte della sua stessa squadra l’avevamo colto in tempi poco sospetti. E che stia ravanando nel malmestoso fondo d’una rosa squilibrata è altrettanto palese. Ma lui, in fondo è stato preso per fare esattamente questo. È il suo sporco mestiere, e assolve al compito facendosi pagare un ingaggio da mago del settore. I risultati, punto. Il “come” lo lasciamo ai fu Sarri e Pirlo, sbarcati malamente su altri lidi (uno a Roma, l’altro proprio in spiaggia).

Se Allegri aveva lasciato la Juve brutta, l’ha ripresa racchia. Sgraziata, disarmonica, persino un po’ sfiorita nella grinta che l’universo-mondo cantava oltre il senso del ridicolo. Più vince e fugge nel tunnel lasciandosi alle spalle il disgusto untuoso di chi ha perso, più Allegri esalta l’animo crudele, anche un po’ infame, del risultatista estremo. Una volta lo raccontavano Machiavelli, ora passa per quello che rubacchia, s’arrangia, “sopravvive” per dirla con Sconcerti.

Nella implicita sopravvalutazione della Juve che questo discorso sottintende, Allegri non è una vittima. E’ il plusvalore. E’ l’artefice – a differenza di tanti orgoglioso – di un’altra estetica. Diversamente godibile, ecco. La Juve ha le fattezze simbiotiche del Chiellini-gorilla che i suoi tifosi venerano. Quelle movenze, la stessa finezza.

Nei due anni sabbatici s’è proposto come ideologo del pragmatismo, il villain del “mio calcio”. Qual è dunque lo stupore di scoprirlo coerente con l’ambiente che se l’è ripreso?

Non senza aver pagato, a settembre, il riadattamento, Allegri ha messo a regime uno schema che a prima vista pare traballante: si vince coi rimpalli, coi mezzi rigori, l’allucinazione arbitrale, un tiro ogni 90 minuti. Un modo goffo e terribilmente efficace di sfangarla, nonostante tutto. Altri affogherebbero nelle questioni di principio, nella detestabile altezzosità teorica (“il mio calcio è divertimento, prima di tutto”) magari supponendo che stare alla Juve garantisca una rendita di posizione in quanto tale. Lui, per rispondere alle critiche, si fa piacere anche il “calcio così” di Sconcerti. “Così” come, poi? Brutto? Allegri lo definirebbe vincente. Ché del “corto muso” maledetto non se ne può più.

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