ilNapolista

Allegri è molto più forte della Juventus

Lo avevano dato per bollito, ora che vince è tornato il re del pragmatismo. A dispetto di una Juve sovrastimata, s’adatta alle situazioni col suo calcio sempre possibile

Allegri è molto più forte della Juventus
Napoli 11/09/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Juventus / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Massimiliano Allegri

Furbizia. Astuzia. Intelligenza tattica. Convenienza. Sostanza. Concretezza. Pragmatismo. Praticità. Sinonimi d’Allegri sulla stampa italiana, un giorno dopo la vittoria della Juve nel derby. La doppietta simbolica, a seguire il successo sui campioni d’Europa del Chelsea, ha bonificato settimane di analisi più o meno appuntite sul tecnico bollito, retrogrado, stanco, sorpassato. È lo stesso carro che corre a zig zag, raccogliendo vincitori e vinti alternativamente. In una sorta di critica bipolare capace di ruminare tutto e il suo contrario dissimulando compostezza, persino coerenza.

Ora – ma è un’offerta a scadenza come sui volantini del discount – Allegri è un genio. La celebrata eccellenza made in Italy che per anni ha vinto nel nome d’un abilismo contro-ideologico. Il maestro della lettura, capace d’annusare la partita tra i maleodori dei suoi uomini e cambiare tutto in funzione del momento, altro che schemi e rigidezze teoriche. Il fatto è che Allegri lo è adesso, e lo era anche prima. Un attimo fa, cioè, mentre le stesse firme che ora ricorrono nientemeno alla metafora dell’operaio di Cipputi – ah la Juve operaia, quel centrocampo da catena di montaggio di Mirafiori – per cantarla umile e indomita, s’affrettavano ad azzannare. E’ cotto, Allegri, scrivevano. Il biennio sabbatico l’ha spento. Non ci si raccapezza più. S’è imborghesito.

Se c’è un filo che lega il tracollo d’inizio campionato e questa piccola rinascita è lo stesso che governa la relazione tra Allegri e la Juve, il tecnico puparo e la sua squadra. Allegri non è solo il luddista tattico che viene raccontato, sia in detrazione che in ammirazione. Non è organico alla Juve nella misura d’un pari. Allegri è molto più forte della Juve.

Erano sì 60 e passa anni che i bianconeri non partivano così male, ma ciò che ne è derivato – l’1-1 col Milan poi tre vittorie di fila in campionato e una emblematica in Champions – trascende il conto matematico: Allegri sta friggendo con l’acqua. Ha una rosa che molti definiscono “giovane”, qualcuno “malassemblata”, in generale sovrastimata. Ma tutti, in cacofonia, ripetono che non è minimamente accostabile a quella della trionfale rimonta del 2015-16. Anche allora arrivò il derby (dopo una saguinosa sconfitta contro il Sassuolo), e un gol Cuadrado al 93’ a invertire rotta, destini e narrazione accessoria. Allora era l’undicesima giornata, la Juve era a -9 dalle prime. Non è questo il caso, così scrivono.

Tradotto: anche per i più abili rivoltatori di frittate Allegri sta dimostrando il tocco di classe, a dispetto del materiale a disposizione. Una volta si chiamava arte dell’arrangiarsi. E non aveva un’accezione figa. Se ne sono accorti adesso, e dimenticheranno a breve. È nella natura del giornalismo pesciolino rosso, memoria corta più dell’abusato muso.

La rassegna stampa è esemplare. Repubblica notava che col Toro hanno vinto “le astuzie tattiche di Allegri che, cambiando un solo uomo (fuori Kean, dentro Cuadrado), ha mutato la squadra intera”. Sconcerti che “la Juve è ritrovata come intelligenza tattica, non è più dominatrice, va spesso in confusione nel primo tempo, ma conferma di avere linee tecniche nuove, non di potenza, ma di esatta convenienza”. Garanzini su La Stampa scrive che la Juve indossa “la tuta da lavoro che per Allegri è il look più indicato del momento”. Che per Marani su Tuttosport è “l’abito di officina”: “Rispetto al 2015 maggiore è la concorrenza e maggiori sono forse i limiti della rosa”.

Non parlasse abbastanza per lui Wikipedia, o il curriculum, c’è il presente. La cronaca spicciola. Ha incartato Tuchel come solo Tuchel pensava di poter fare. Lasciando al Chelsea le statistiche-orpello e zero punti. Poi è tornato in Italia e ha regolato pure il “tremendismo” di Juric, riportandolo alla sua dimensione post-partita: il pianto agonistico. Allegri nel frattempo s’è rimesso al suo posto, al centro del villaggio come il suo Chiesa.

Allegri non è tale grazie alla Juve (come pure dicono da anni i suoi detrattori), lo è a dispetto della Juve. E’ un marchio di fabbrica che vive di vita propria. Uno che tiene lezioni universitarie di adattamento tattico. Il tecnico situazionista, che si contrappone ai nuovi razionalisti, i neocostruttivisti del “mio calcio”. Il suo calcio, il calcio di Allegri, è una cosa malleabile e quindi perfettamente adattabile ad ogni crisi. E’ un calcio qualunque, e quindi un calcio sempre possibile. Persino alla Juve.

ilnapolista © riproduzione riservata