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Spalletti ci spiega che un altro 4-3-3 è possibile

L’allenatore sta sperimentando per cercare il miglior abito possibile. Meno verticalità a causa della difesa bassa del Venezia, almeno fino all’ingresso di Lozano

Spalletti ci spiega che un altro 4-3-3 è possibile
Napoli 22/08/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Venezia / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti

Un altro 4-3-3 è possibile

Come per tutti gli altri ambiti e settori della vita umana, anche nel calcio l’evoluzione storica ha determinato un aumento della complessità, delle possibilità. In un tempo neanche tanto lontano, le squadre scendevano in campo disponendosi in un certo modo e cercavano di battere gli avversari adoperando principi comuni ed elementari – marcature uomo su uomo, regia lunga dei difensori o dei centrocampisti, duelli e dribbling sulle fasce per generare superiorità numerica e occasioni da gol. Oggi le cose sono molto, molto cambiate. Come detto, sono più varie e complesse. Uno dei migliori esempi, in questo senso, è stato quello offerto dal Napoli, dal primo Napoli di Spalletti, in occasione della gara contro il Venezia. Pur rimanendo simile, almeno per certi versi, a diverse edizioni del passato recente, la squadra azzurra sembra aver già cambiato la sua essenza. Il suo modo di ragionare. Di produrre calcio.

Cominciamo dal modulo. La disposizione 4-3-3 scelta dal nuovo allenatore del Napoli, infatti, era del tutto similare a quella utilizzata da Sarri e (inizialmente) da Gattuso, due dei suoi predecessori alla guida di questo gruppo di giocatori – al netto dei cambiamenti legati al calciomercato. Eppure, la squadra azzurra ha disegnato e interpretato un 4-3-3 diverso rispetto a quelli del passato, quasi a voler sottolineare come e quanto sia poco utile, oggi, provare a spiegare il calcio partendo dal sistema di gioco con cui i giocatori vengono schierati in campo.

Il 4-3-3 del Napoli (anche se in questa foto non si vedono i tre giocatori del tridente).

Fino all’espulsione di Osimhen, infatti, il Napoli è stato schierato in campo con il 4-3-3/4-5-1 in fase difensiva, eppure era più lungo e tendenzialmente più aggressivo rispetto al passato; ha adoperato la costruzione bassa, ma l’ha fatto senza forzarla, senza passare necessariamente per i giochi a tre tra terzino, mezzala ed esterno offensivo di parte; ha cercato di creare gioco soprattutto a sinistra (il 43% delle azioni, a fine gara) ma nel frattempo ha sovraccaricato anche il cosiddetto lato debole, cioè ha permesso a una delle due mezzali di salire accanto a Osimhen per riempire l’area mentre il pallone veniva trattato sulla corsia opposta.  Spesso, poi, gli esterni d’attacco venivano più all’interno del campo per aprire la strada ai due terzini, più propensi a spingere in avanti rispetto a quanto avveniva in passato.

Meno spiccata, infine, la tendenza alle verticalizzazioni: il Venezia, pur mostrando di essere una squadra molto – fin troppo – ambiziosa e ricercata nella fase di costruzione del gioco, ha deciso di difendersi restando basso e compatto, quindi cancellando completamente la possibilità di innescare Osimhen sul lungo. Forse, chissà, anche l’assenza di questo tipo di rifornimenti – quelli giusti per lui – ha finito per innervosire in maniera eccessiva il centravanti nigeriano.

Come si vede chiaramente dal primo frame in alto, Spalletti ha affidato a Lobotka il ruolo di pivote davanti alla difesa. Una scelta che ha accentuato la “sensazione” di 4-3-3, anche perché nel frattempo Zielinski e Fabián erano sempre posizionati più in avanti, e più in ampiezza, rispetto allo slovacco. Considerando che, in fase di costruzione del gioco, i terzini del Napoli sono stati costantemente in proiezione offensiva, è più giusto scrivere che il Napoli si sia schierato con un visionario 2-3-4-1, come mostra chiaramente il grafico sulle posizioni medie pubblicato dalla Lega Calcio.

Le posizioni medie del Napoli nel primo tempo; ci sono 12 giocatori in campo per via del cambio tra Zielinski ed Elmas, avvenuto nella prima frazione di gioco.

Allo stesso tempo, come detto, una delle mezzali ha spesso affiancato Osimhen sulla linea più avanzata. Fatalmente, è stato più spesso Fabián Ruiz, schierato sulla destra, a proiettarsi in questo ruolo di supporto: la presenza di Insigne e Mário Rui sbilancia il Napoli verso sinistra nell’impostazione del gioco, e quindi il lato debole si determinava sulla corsia opposta. Nella zona che poteva essere attaccata dal centrocampista andaluso. Non a caso, viene da dire, l’azione manovrata più pericolosa del Napoli prima dell’espulsione di Osimhen è stata quella orchestrata da Insigne per il taglio di Politano alle spalle dell’ultimo difensore. Da sinistra a destra, una classica giocata da 4-3-3.

In alto, due momenti in cui Fabián Ruiz ha occupato lo slot virtuale di seconda punta, accanto a Osimhen; sopra, invece, è Zielinski a riempire l’area dopo aver fatto densità sulla sinistra.

La duttilità di Spalletti (e non solo di Spalletti)

Per Spalletti, parte di queste scelte tattiche rappresentano una novità. O meglio: sono in discontinuità con la sua tendenza a utilizzare il 4-2-3-1 e il (conseguente) quadrato di impostazione bassa, composto dai due centrali e dai due componenti del doble pivote – in cui di solito trovano spazio un regista più classico, il Pizarro o Brozovic della situazione, e un centrocampista più dinamico, meno tecnico.

La situazione attuale del Napoli ha determinato, quasi imposto, un cambiamento: la rosa è ancora priva di un terzo mediano puro con determinate qualità; Demme, inoltre è assente per infortunio. Zielinski e – soprattutto – Fabián hanno le caratteristiche per giocare nel doble pivote in un certo modo, ma forse non in una squadra che cerca e cercherà un possesso più diretto e meno sincopato rispetto al passato. Dopo il rosso a Osimhen e nella ripresa, Spalletti ha dovuto ripristinare il doppio centrocampista davanti alla difesa, e non a caso ha scelto Fabián nello slot accanto a Lobotka.

Nonostante questo cambio obbligato di sistema e di posizionamenti, il Napoli non ha accusato squilibri perché l’assenza di Osimhen ha portato la squadra ad abbassare i ritmi del possesso, a muovere il pallone con più calma. Anche perché nel frattempo il Venezia ha continuato a rimanere basso, a cercare semplicemente di muovere la difesa avversaria con la costruzione da dietro. Ci è riuscito poco, considerando che 3 dei 4 tiri finiti nello specchio della porta difesa da Meret sono arrivati da fuori area. E che alla fine gli arancioneroverdi hanno prodotto una sola occasione realmente pericolosa, il palo colpito da Forte.

Nella ripresa, pur giocando con un uomo in più fin dall’inizio, il Venezia ha alzato il suo baricentro di appena dieci metri. L’unico cambio di atteggiamento portato dal tecnico dei lagunari, Zanetti, è stato allungare un po’ la squadra sul campo.

La mezzala che si affianca al centravanti, invece, è un classico del calcio di Spalletti. Anzi, probabilmente è il trucco tattico adoperato più frequentemente dal tecnico toscano, soprattutto dopo la più grande invenzione della sua carriera – ovviamente stiamo parlando della trasformazione di Totti in centravanti. Ai tempi della sua prima Roma, fu Perrotta a svolgere questo ruolo; dal 2016 al 2017, toccò invece a Radja Nainggolan. Anche all’Inter Spalletti ha provato a riproporre la stessa dinamica, inserendo ancora Nainggolan nel suo 4-2-3-1. Ora al Napoli la situazione di partenza, come detto, è piuttosto diversa. Ma l’idea resta praticabile, anche perché la duttilità di Zielinski e Fabián potrebbe permettere alla squadra azzurra di utilizzare un modulo fluido, in grado di trasformarsi velocemente da 4-3-3 in 4-2-3-1. Col tempo, e magari con l’arrivo di un altro centrocampista, vedremo concretizzarsi questa possibilità.

La difesa

Un’altra novità che si è appena percepita durante Napoli-Venezia, e che appartiene alla storia e alla cultura tattica di Spalletti, è la difesa alta e aggressiva. Si può dire che, fin quando non è stato espulso, Osimhen abbia dettato e imposto il ritmo della sua squadra più in fase difensiva che offensiva. Per assecondare il suo pressing, i compagni salivano molto e in modo compatto, portando molti uomini oltre il centrocampo. Il baricentro del primo tempo, posto a 67 metri di altezza (vedi sopra), è una testimonianza di questa aggressività. Ma anche nella ripresa il Napoli si è difeso accorciando il campo: pur essendo in inferiorità numerica, la squadra di Spalletti ha tenuto un baricentro più alto rispetto a quello del Venezia.

In alto, una  pressione piuttosto aggressiva del Napoli, con sei uomini nella metà campo avversaria. Sopra, le posizioni medie dei giocatori di Spalletti in fase di non possesso, riferite al primo tempo: guardate dove – e quindi come – ha agito Osimhen prima di farsi espellere.

Certo, l’atteggiamento e i meccanismi di gioco della squadra di Zanetti hanno alimentato e agevolato questa tendenza tattica. L’insistita costruzione dal basso dei giocatori ospiti ha richiamato il pressing degli azzurri fin dal primo istante, la loro l’incapacità di progredire sul campo nonostante la superiorità numerica – 331 passaggi riusciti verso gli ultimi due terzi di campo contro i 469 del Napoli – ha fatto il resto, invitando il Napoli a non dismettere la sua difesa in avanti. Anzi, l’ha quasi costretto a cercare di tenere alti i ritmi.

Proprio da due cambi di passo sono nati i due rigori che hanno indirizzato la partita. Nel primo caso, un’imbucata tra le linee di Koulibaly e un movimento e contro-movimento di Insigne e Fabián hanno aperto la fascia a Mário Rui; pochi minuti dopo, Di Lorenzo ha fatto valere la sua velocità e la sua fisicità in un duello individuale con Molinaro. In entrambe le azioni, il Napoli ha sfruttato benissimo la presenza di due giocatori su entrambe le fasce laterali, vale a dire l’esterno basso e il laterale offensivo. In questo senso, la scelta – piuttosto semplice e naturale – di Spalletti, ovvero il passaggio al 4-4-1 dopo il rosso a Osimhen, si è rivelata azzeccata.

I cambi

Allo stesso modo, anche i cambi hanno avuto un impatto positivo sulla partita. Quello forzato, vale a dire Elmas per Zielinski, ha dato al Napoli maggior dinamismo sulla fascia sinistra. Il centrocampista macedone, al netto del gol, ha mostrato infatti di essere un giocatore che sa esaltarsi quando può giocare con libertà, fuori da uno spartito, quando può muoversi senza dover per forza assolvere un preciso compito tattico. Certo, parliamo di un giocatore che spesso effettua giocate un po’ arruffone, ma è proprio questa sua elettricità a renderlo utile, spendibile in diverse zone del campo. In una squadra di Spalletti, più veloce e meno codificata rispetto a una di Gattuso, può essere una risorsa importante.

L’altro cambio interessante, e dall’esito positivo e immediato, è stato quello tra Lozano e Politano. Basta riguardare il gol di Elmas per rendersene conto: per quanto un lancio lungo possa sembrare una giocata improvvisata rispetto a una rete di passaggi sul breve, è evidente che Koulibaly e l’esterno messicano abbiano attuato uno schema lineare, studiato. Uno schema che, quindi, può essere riproposto nelle prossime partite. E che ha dato i suoi frutti: ha permesso al Napoli di saltare velocemente il centrocampo, quindi di creare una situazione di parità numerica con un solo passaggio; ha messo Insigne nelle condizioni di far proseguire il gioco verso Lozano, in piena area di rigore, poi il pallone è arrivato a Elmas; ha permesso al macedone di esprimersi in una situazione in cui si ritrova perfettamente, convergendo da sinistra e portando la palla sul piede forte.

Il gol di Elmas

Conclusioni

Il Napoli visto contro il Venezia dovrà necessariamente affrontare e superare esami più probanti. Come detto, la squadra di Zanetti ha fatto poco, troppo poco, per poter essere considerata come un avversario in grado di testare davvero la tenuta degli azzurri. Al netto di tutto questo, però, è già evidente come Spalletti abbia innestato, avviato un cambiamento. Non solo mentale, come scritto da Massimiliano Gallo, ma anche tattico. Il Napoli visto contro il Venezia è una squadra che ha e rispetta alcuni principi, ma che sa anche essere elastica. E che, soprattutto, tenta di fare tante cose diverse quando può – e quindi deve – gestire la partita.

In una sola serata, in una sola partita, abbiamo visto: difesa alta con pressing aggressivo sui portatori di palla avversari; centrocampisti che si inseriscono in area per supportare la prima punta; costruzione dal basso e passaggi tra le linee, non solo sulle fasce, per far progredire l’azione, prima e soprattutto dopo l’uscita di Osimhen; ricerca della verticalità dopo l’ingresso di Lozano.

Probabilmente il Napoli non è stato eccellente in nessuno di questi aspetti. E, ripetiamolo ancora, la resistenza del Venezia è stata troppo flebile per poter esaltare la gara degli azzurri. Ma resta un fatto: Spalletti ha sperimentato e sta sperimentando. Sta cercando di immaginare e disegnare l’abito migliore per il suo Napoli, pescando da una vasta gamma di possibilità. Ci sono dei riferimenti fissi, ma c’è anche un evidente tentativo di andare oltre. Di esplorare tutte le possibilità. Di lavorare sulla complessità, accettandola, abbracciandola. Come richiede il calcio moderno, soprattutto alle squadre come questo Napoli, che hanno una rosa ampia, ricca, ma priva di un’identità radicale, radicata. E che quindi devono saper cambiare, per essere imprevedibili e vincenti.

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