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L’Italia del basket torna alle Olimpiadi grazie ai bistrattati settori giovanili

È la vittoria di quelli che non ci sarebbero stati se i big Belinelli e Datome non avessero rifiutato la convocazione. È la vittoria di Meo Sacchetti

L’Italia del basket torna alle Olimpiadi grazie ai bistrattati settori giovanili
Db Milano 28/03/2019 - basket Eurolega / AX Armani Exchange Olimpia Milano-Fenerbahce Istanbul / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Romeo Sacchetti

L’Italia della pallacanestro torna a disputare una Olimpiade dopo diciassette anni vincendo il pre-olimpico di Belgrado. L’ultima partecipazione risale ad Atene 2004.

È tutto vero, l’Italia ha battuto la Serbia a Belgrado dominando la partita. Se lo avessimo solo pronosticato tre giorni fa, ci avrebbero presi a calci senza alcuna pietà. D’altronde la nostra era una squadra rimaneggiata, zeppa di assenti, di rifiuti dei big e con giocatori all’esordio europeo mentre loro la squadra più forte del continente. Chi poteva solo ipotizzare un’impresa del genere? Forse solo Meo Sacchetti che ha assemblato i pezzi in maniera egregia sfruttando la capacità eterogenea di un gruppo zeppo di doppioni e lacune sotto le plance.

Un 2001 dei Golden State Warriors (nato a Siena) Nico Mannion, rosso fuoco di capelli e di gambe ha generato una clamorosa rottura tra la realtà e la possibilità di capovolgerla zigzagando tra le maglie serbe accompagnato nel viaggio da tale Simone Fontecchio da Pescara e da Achille Polonara, alla Hala Aleksandar Nikolić i serbi hanno visto infrangersi le loro certezze, la loro boria colpiti dalla incoscienza azzurra.

È la vittoria dei settori giovanili sempre bistrattati, di Pajola che ha annullato il suo compagno alla Virtus Teodosic, al quale deve uno scudetto, di Tonut e di Pippo Ricci, di Tessitori ancora mezzo convalescente e di Spissu in panchina ma infortunato. È la vittoria di quelli che, forse, non ci sarebbero stati se i big Belinelli e Datome non avessero rifiutato la convocazione. È la vittoria di chi fa fatica ad avere continuità in campionati in cui impera il gusto per gli stranieri. È la vittoria di un movimento che già nella finale scudetto ha capovolto le gerarchie.

Quattro quarti di assoluta meraviglia a spicchi. Una difesa intensa a togliere certezze ai balcanici che hanno retto finché dall’arco lungo ci hanno preso ma che, poi, hanno pagato con la stessa moneta in difesa, restando sempre un attimo indietro sulla magistrale lettura offensiva sui pick and pop dei folli azzurri. Dominati a rimbalzo, allungati in difesa e controllati nel ritmo, immobilizzati ad assistere alla rivoluzione della logica. A Tokyo ci andiamo noi dopo diciassette anni e lo facciamo eliminando, forse, una delle probabili candidate al podio. Senza senso ma con tutta la gioia che solo la storia sportiva che si compie può lasciarci addosso.

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