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«La mia generazione non voleva essere Batman o Superman, voleva essere Maradona a Italia 90»

Aimar ora allena l’under 17 argentina, e sul Guardian scrive: “Ci assicuriamo che i nostri giocatori non vedano la palla come un problema. Il calcio si impara giocando”

«La mia generazione non voleva essere Batman o Superman, voleva essere Maradona a Italia 90»

Pablo Aimar ha vinto un Mondiale Under 20, ha giocato con la nazionale argentina, è stato una delle colonne portanti del tostissimo Valencia che vinse due campionati nei primi anni 2000. Ma soprattutto è stato uno degli idoli dichiarati di Leo Messi. Oggi è il ct della nazionale argentina under 17. E sul Guardian spiega cosa significa allevare i calciatori del futuro. Tornando spesso su concetti come l’educazione alla tecnica, sempre più presenti nel dibattito del calcio europeo.

Il calcio si impara giocando. Ci sono allenatori bravi, intelligenti, con molto buon senso, che con poche parole possono aiutarti e darti consigli utili per il futuro. Lo fanno anche chiedendoti ‘come risolvi questa situazione? Stai facendo quello che fai normalmente o qualcos’altro?’. Ma i giovani calciatori non possono rendersi conto di tutto questo senza giocare”.

“In campo, cerchiamo di assicurarci che i nostri giocatori non vedano la palla come un problema; non devono sbarazzarsene. Selezioniamo giocatori che percepiscono il calcio in questo modo. La nostra convinzione è che questo modo di giocare li aiuterà a crescere, a diventare calciatori migliori che possono giocare per grandi squadre”.

E fa un esempio: i difensori. Si allena l’audacia.

“Vogliamo giocare con difensori centrali propositivi, perché crediamo che non sarà difficile per loro poi giocare in una squadra che gioca un calcio più difensivo. Se facciamo il contrario, sarà difficile per loro adattarsi. Se diciamo loro di portare via la palla, di rilanciare lungo e basta, e di cercare solo il risultato, cosa succede se finiscono per giocare con un allenatore che gli chiede di giocare in modo più audace? Non saranno in grado di farlo”.

Aimar ricorda la sua esperienza al Valencia:

“Vengo dal River Plate, dove spesso avevamo il 70% di possesso palla. A Valencia tenevamo molto meno la palla. Ho dovuto crescere, adattarmi e capire come potevamo competere – cosa che abbiamo fatto per diversi anni, anche vincendo il campionato nel 2002 e nel 2004. È così che abbiamo gareggiato con i grandi club. Ho imparato a trarre il massimo dal giocare meno con la palla. Ho visto che il modo in cui potevamo competere con Real Madrid e Barcellona era non subire gol. Ha funzionato e abbiamo finito per costruire una squadra tosta. Per il Valencia, difendere bene è stata la strada verso la vittoria. Avevamo giocatori molto bravi e attaccavamo poco, ma quando attaccavamo lo facevamo in modo rapido e deciso, portando in gol molte delle nostre giocate“.

Ma Aimar spiega anche gli schemi sono importanti, non solo tatticamente. Servono come fondamenta:

“Gli schemi tattici sono importanti. Anche se non te ne rendi conto, ti aiutano a sentire di avere qualcosa su cui appoggiarti. Quel supporto ti dà la pace della mente; ti aiuta a comunicare con i tuoi compagni di squadra”.

Aimar dice che una certa generazione di calciatori argentina è cresciuta grazie ad un supereroe: Maradona.

“Diego Maradona è stato la grande ispirazione di noi che nati negli anni ’70 e ’80. A quel tempo, c’erano già i supereroi: Spiderman, Batman e altri. Ma non volevamo essere loro. Non volevamo un costume da uomo ragno. Volevamo comprare le scarpette di Maradona e la sua maglietta. Volevamo essere lui. Volevamo essere Maradona, e aspiravamo a essere quello che ha alzato il Mondiale in Messico nel 1986. Volevamo essere lui in Italia ’90, insultando chi aveva insultato il nostro inno. E come lui, volevamo soprattutto una cosa: imparare giocando”.

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