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Chiesa è tanto forte quanto insopportabile. Quindi è fortissimo, un alieno nel calcio italiano

E’ un anarchico elettrico, sempre in tensione. Punta e salta l’uomo, che per il nostro malridotto calcio è una rivoluzione. Ha messo persino Ronaldo in un angolo

Chiesa è tanto forte quanto insopportabile. Quindi è fortissimo, un alieno nel calcio italiano

Scriviamo di Federico Chiesa coi guanti da forno. Scotta. Brucia. Hysaj è ancora lì che si gira e si volta e non ci si raccapezza, come fanno i cani quando cercano di mordersi la coda punta dalle zecche. E le macerie della difesa del Napoli fumano. Magari servirebbe un po’ di tatto, per parlare di Federico Chiesa. Magari è ancora presto. Ma tocca farlo, prima o poi.

Federico Chiesa è dirompente. E lo è per la Juve, ovviamente, ma lo è più in generale per il calcio italiano. Perché, nelle pause tra un tuffo e l’indignazione per il torto capitale che crede di aver subito – lo sguardo di stupore mentre protesta… Carmelo Bene spostati! – ha preso a sfregiare la mestizia della Serie A con una roncola. A capocchia, alla cieca, con una furia sconosciuta a queste lande ormai consumate dal primato tattico. È un terrorista inconsapevole, Chiesa.

La puntualità con cui ha devastato la fascia sinistra del Napoli, e poi la destra, e poi anche il centro, è perfettamente rappresentativa dei modi ansiosi e ansiogeni di questo guastatore, accompagnato sempre – SEMPRE – dal prefisso che vorrebbe scomporlo: “eh, ma è un disonesto”. (Ok, non dicono proprio “disonesto”, ma ci siamo capiti).

Chiesa invece ha scavallato, è passato al livello successivo: ora è sempre insopportabile, più o meno a tutti, ma… “ma quanto è forte?!”. E’ cambiato l’ordine degli addendi, cominciamo a riconoscergli un fascino, pur continuando intimamente a schifarlo. Persino al netto del paragone con tanto papà. Soprattutto a sconfitta ancora calda, è sano che sia così. Fa male, Chiesa. Ma in realtà – cominciamo a dirlo, sommessamente – fa bene.

Perché è emozionante, in senso lato. E’ elettrico, è un cavo in tensione. E’ disordinato, ostinatamente anarchico. Prende palla, ovunque, e punta dritto chiunque. E’ il prototipo dell’attaccante ultraverticale – se avete visto Mbappé contro il Bayern, avete capito di cosa parliamo – che ara il campo cercando la porta, il confronto col marcatore, l’ostacolo da saltare. E’ in totale negazione rispetto al contesto, ormai una dittatura di pressione orizzontale, spesso lentissima ai limiti dello svacco. Chiesa è affilato, se ne sbatte, macina chilometri, sgomma, vira, sbanda, rimbalza, cade, protesta, riparte, tiro, gol.

Tanto che ormai ha rosicchiato anche il campo a Ronaldo. Il portoghese è sempre più un alieno, un buco nero a cui affidare i il pallone solo se speri di rivederlo in porta, a te non tornerà mai più. Anche lui, con quell’ego che batte moneta, lo vedi rintuzzare, mentre l’altro, il giovane Chiesa, gli corre attorno a folate. Ne beneficia, alla fine. Come tutti gli altri. Perché Chiesa è il caos, e per noi – per il calcio italiano – il caos è una medicina necessaria. Un presidio irrinunciabile.

Fino a qualche anno l’uomo che “salta l’uomo” era un’ovvietà. Un principio della chimica base del pallone, che si impara per strada, dove la superiorità numerica è un imperativo categorico. Ora è diventato un lusso. In Italia, soprattutto, fa una differenza enorme giocare con uno Chiesa o senza. E’ controintuitivo il solo pensiero di farne a meno. La Juve che ha battuto il Napoli l’ha fatto sfruttando la sua parte inconsapevole, altro che vittoria di Pirlo. Quella caparbietà istintiva, che Chiesa riassume, di giocare senza menarsela troppo. L’imprevedibilità, la premessa di tutti gli sport situazionali che invece ad un certo punto abbiamo avuto la pretesa di arginare, beh, è ancora l’anima del gioco. Chiesa ce lo sbatte in faccia ogni volta che si contorce, compulsa, scatta. Lui proprio, da solo.

Ieri Hysaj pareva Bellavista chiuso nell’ascensore, col portiere che gli urla “Resistete!”. Dopo pochi minuti il tapino se l’era già perso un paio di volte. Strappando non solo le certezze del Napoli, ma anche la fiacchezza eventuale della sua squadra. L’ha disinnescata, quasi da solo.

Poi nel conto va messo anche il carattere deteriore, quel demone del capriccio che ad un certo l’ha lasciato sul prato a reclamare la corte marziale per Politano che l’aveva sgambettato a stento. Gasperini, a commento di una sua simulazione, disse che “continuando così rischia di trovare ambienti ostili”. Ma il punto, forse, è nel ribaltamento del concetto: è Chiesa il motore dell’ostilità, a tempo pieno. Più che le gambe – e certo, fa malissimo – impegna la testa degli avversari. Li tiene in allarme, non sai mai dov’è, cosa farà e perché. Magari non lo sa nemmeno lui.

Ma mentre noi sprechiamo energie a puntare il ditino, a fargli la morale, a pretendere che ci batta da fuoriclasse, umile e onesto, sperando invece semplicemente che ci risparmi (alcuni di noi ambirebbero molto più mestamente ad opporgli un vero terzino, ma vabbé), quello fa il suo mestiere di cattivo eversore. Quando ci sarà passata, e avremo sbollito, forse potremmo fare uno sforzo e ammetterlo, che uno così ci voleva proprio.

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