Siamo di nuovo alla condizione degli emigranti che arrivano in una grande città, siamo tornati nel cono di sottomissione
“Partono ‘e bastimente pe’ terre assaje luntane. Cantano a buordo: so’ napulitane”. Basta! La splendida “Santa Lucia lontana”, che tanto ha raccontato il dramma dell’emigrazione meridionale e napoletana in particolare all’inizio del secolo scorso – con la sua “malincunia” e l’impegno a “cerca’ furtuna” – non può essere, indirettamente certo, un punto di riferimento del Napoli. Non è possibile, voglio dire in chiaro, che una squadra di calcio come la nostra – fino allo scorso anno e da dieci anni a questa parte ai vertici del campionato e degnamente presente nelle competizioni internazionali – possa essere rappresentata come la compagine del Sud, terrona, del Meridione, forse sporca e truffaldina e comunque ai margini di una competizione governata da altri e nella quale se siamo fortunati riusciamo a raccogliere le briciole. Una squadra di emigranti, di esclusi che deve fare di tutto – mettendo il suo “veleno”, le sue “incazzature”, superando le sue dichiarate forse anarchiche incapacità di seguire le indicazioni del capo – per affrancarsi da una situazione di storica inferiorità.
Ma che film è questo, per rimanere nel tuo campo, caro De Laurentiiis? Da anni il Napoli è, era, ai vertici del calcio nazionale, con presenza significative (anche dal punto di vista economico) in Champions League. Un Napoli ammirato, capace di trasmettere anche nel calcio finalmente, i meriti, le peculiarità, le eccellenze per le quali la nostra città è conosciuta nel mondo (non pizza, mandolino e lungomare). E ora torniamo ai “bastimente” che partono, ad una situazione di inferiorità e difficoltà per la quale chi ci “governa” deve scusarsi quasi e comunque sollecitare il popolo ad uscire da questo cono di sottomissione. Ancora? Ecco, questa per me è la gestione di Gattuso del Napoli. Un bravissimo ragazzo, un campione di calcio ma che sembra trasmettere alla squadra, alla città un senso di ineluttabilità delle cose, quasi da emigrante che arriva nella grandi città del Nord: questi siamo, assolutamente impegniamoci e combattiamo ma dobbiamo sapere che a più di tanto non possiamo arrivare. Rabbia, veleno, durezza (ma l’allegria, la gioia, il sorriso non esistono?), competitività estrema contro tutti, urla in campo, conferenze stampa sempre incazzate sembrano essere l’atteggiamento del meridionale, dell’emigrante che, giustamente, combatte e lotta contro tutti per la propria affermazione, per il proprio riscatto.
Ma il Napoli calcio (e la città, con tutte le sue incongruenze, supponenze, presunzioni ma anche nazionalmente e internazionalmente accertate superiorità) non aveva ormai trovato una sua collocazione di rilievo? Avevamo bisogno, dopo il comunque positivo avvio con Mazzarri, dopo l’ingresso nel mondo internazionale con Benitez, dopo il flash lisergico e quasi orgasmico di Sarri, dopo l’arrivo (e sembrava un punto di partenza) di Re Carlo di un medio allenatore come Gattuso, senza pedigree particolare e animato dal volere trasmettere il “veleno” (che però non si compra al supermercato, ha ammesso), il lavoro duro alla squadra senza dare nello stesso una fisionomia ai giocatori e al loro calcio? Anzi distruggendo due giocatori – Meret e Di Lorenzo – che Ancelotti aveva portato a livelli di prestazione assoluti? Oppure tenendo fuori per mesi Lozano (inascoltabili i commenti di alcuni giornalisti, purtroppo miei colleghi, che spacciano il buon gioco oggi del messicano come merito di Gattuso) per marcare forse la sua distanza dalla scelta del suo predecessore? Insomma una situazione che ritengo non sia stata sanata dalla vittoria contro lo Spezia. Anche perchè, come emerso dalla partita, tatticamente nulla è cambiato e tutto rimane in bilico. Il gioco del Napoli, l’atteggiamento della squadra è sempre lo stesso. Con tutti i suoi problemi. De Laurentiis dovrà decidere.