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«L’isola delle rose era in linea con la follia della Romagna ma non c’erano feste»

La Stampa intervista il traghettatore: «Era molto diversa dal film, non era la Cuba dell’Adriatico. Era un richiamo turistico, ma sembravano più dei reclusi»

«L’isola delle rose era in linea con la follia della Romagna ma non c’erano feste»

«Io portavo i turisti a vedere l’Isola delle Rose. Ma non ho mai visto feste, gente ballare come nel film su Netflix».

Lo dice, a La Stampa, Massimo Franchini, architetto navale. Nel 1967 era lui a traghettare da Riccione, ogni mattina, quanti volevano recarsi a visitare la straordinaria isola al largo di Rimini ideata dall’ingegnere Giorgio Rosa. Isola protagonista di un delizioso film disponibile su Netflix.

«Era una bella uscita, piuttosto lunga, perché l’isola era a circa 6 miglia da Rimini, ma da Riccione il percorso si allungava: una navigazione di 10-12 miglia ad andare e altrettante a tornare. Tanto che arrivavamo con i passeggeri che avevano lo stomaco in subbuglio».

Racconta:

«C’erano gli operai che lavoravano, non ho mai visto altri. Ma funzionava. L’Isola incuriosiva, era un richiamo turistico. Non ci ho mai visto molta gente sopra. Poche persone, che mi sembravano un po’ dei reclusi».

Una realtà diversa da quella raccontata dal film, insomma.

«Mai visto nemmeno l’ombra di un bar, come appare invece nel film. Però, ripeto, alle tedesche in bikini piaceva l’idea. C’era anche un’altra motonave che faceva un servizio simile al nostro da Rimini».

L’Isola durò due anni. Nel febbraio 1969 fu fatta saltare con cariche esplosive dai militari. Ma cosa voleva fare davvero Rosa della sua creazione?

«A Riccione si parlava dell’ipotesi di un casinò. Ma ciò valeva un po’ per tutte le località della costa. Quelli erano anni pazzeschi, dove nonostante l’ingessatura burocratica, sembrava che fosse tutto possibile, realizzabile. Così, dell’Isola delle Rose si diceva anche che avrebbe ospitato una radio libera, tipo quelle inglesi, alla Radio Essex. E poi c’era sempre qualcuno che se ne usciva dicendo che ci doveva essere un “giro di donne”, che in Romagna non può mai mancare».

Di certo, assicura Franchini, nessuno aveva preso come una minaccia la presenza del regno indipendente.

«Quel che posso dire è che a terra nessuno s’era mai scandalizzato, oppure aveva preso l’Isola delle Rose per una minaccia, tipo la Cuba dell’Adriatico, i sovietici o che altro. Tanto che quando fu demolita in tanti ne presero le difese, amministrazioni incluse».

E racconta com’era la Romagna in quegli anni.

«Tutto era possibile. Andavamo a mille, a chi mi chiedeva quando mai dormissi, rispondevo che lo avrei fatto a ottobre, novembre. Erano anni sfrenati, dove anche una follia come l’Isola delle Rose ci poteva stare. Fermo restando che l’Isola aveva creato un indotto, le potenzialità c’erano, e questo per gente abituata a trasformare tutto in business non era male».

Il film, per come la vede lui, è carino, ma «un po’ romanzato».

Sull’ingegner Rosa:

«Aveva costruito un’opera che non aveva uguali. Probabilmente, aveva anche una vena di stravaganza e di follia dalla sua. Ma questo era normale in quegli anni. Da noi, in Romagna, se non eri un po’ matto non ti davano la cittadinanza. Quindi, probabilmente l’ingegnere è partito con un intento commerciale e poi l’idea gli ha preso la mano, accompagnandosi anche penso a una certa insofferenza per le resistenze che la stessa idea aveva incontrato».

 

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