Hanno scioperato e hanno ottenuto una vittoria politica contro la Casa Bianca. Un articolo del Miami Herald spiega come il basket abbia trasformato la lotta contro il razzismo in una risorsa
Quante volte e per cosa ha scioperato la Serie A? Basta fare una veloce ricerca su Google: ne vien fuori una lunghissima sfilza di “minacce” rientrate. Nel 1996, i calciatori italiani si fermarono la prima volta per davvero ma per questioni legate ai contratti. Soldi, insomma. Anche davanti alle condizioni traballanti con cui volevano farli tornare in campo in piena pandemia, tra marzo e aprile, i giocatori non sono riusciti a trovare una posizione comune, e si sono arresi alle altrui decisioni. La premessa è per dire che in Italia non ci siamo resi conto della reale portata dello sciopero dell’NBA (e poi a ruota degli altri sport professionistici americani) contro il razzismo della polizia e del sistema penale americani in un momento sociale delicatissimo della storia degli Stati Uniti. Perché non ci siamo abituati. E’ passata da noi come una notizia da trafiletto o quasi.
A chiusura del boicottaggio – innescato dal “basso”, da una presa di posizione degli stessi giocatori – i cestisti (per la gran parte neri) hanno registrato una vittoria politica: hanno ottenuto un piano per usare i palazzetti sportivi come seggi elettorali alle elezioni presidenziali del 3 novembre. E la ragione è molto semplice: perché l’NBA, il campionato di basket americano, una vera multinazionale dello sport (altro che il calcio, che qui continuano a farsi belli chiamandolo “industria”) è anche una potentissima organizzazione politica.
Lo spiega bene un lungo e interessante articolo di Dan Le Batard sul Miami Herald, ripreso integralmente anche da ESPN. Una lega che è sempre stata “troppo nera” ha saputo trasformare questa sua condizione da problema a forza.
Un processo portato avanti dal precedente commissario David Stern, nel tentativo di colmare il divario tra giocatori neri e “clienti” bianchi (gli spettatori) puntando su personaggi come Magic Johnson e Larry Bird.
“Il basket – si legge nel pezzo – ha rafforzato le sue star di colore e le ha trattate come partner paritarie in un modo che ancora non si vede nel football americano, dove le “blackface” indossano caschi e i corpi dei neri sono considerati usa e getta: sono i quarterback bianchi, ancora, quelli che ottengono il migliori spot televisivi e migliori contratti. La NFL tratta i suoi dipendenti come se fossero nell’esercito; l’NBA tratta i suoi dipendenti come se fossero artisti”.
“Da Watts a Ferguson a Miami, la storia americana è piena di città bruciate dopo ingiustizie razziali, e i giocatori NBA sono sembrati abbastanza arrabbiati da incendiare la bolla di Orlando, l’intera stagione e, viste le ramificazioni finanziarie del contratto collettivo di lavoro, forse anche lo sport in generale”.
Il commissario attuale, Adam Silver, ha dovuto prima tenere in piedi la competizione nel pieno di una pandemia inventandosi la bolla di Orlando, e poi “si è trovato di fronte al virus che ha avvelenato l’America per secoli”: il razzismo.
“I giocatori NBA si sono sentiti frustrati, e avrebbero fatto la figura di marionette milionarie continuando a giocare mentre il discorso disumanizzante sulla brutalità della polizia troppo spesso sembra una versione di questo: Possiamo per favore avere l’uguaglianza? No. Le vite dei neri possono avere importanza? No. Potete smetterla di spararci? No”.
“La brutalità della polizia non è peggiore di quanto non sia mai stata; è solo trasmessa in video più spesso. Il sistema non è rotto; funziona come previsto e un po’ troppo bene (le forze di polizia non esistevano nemmeno nel sud, fino a quando non furono create per prevenire la rivolta degli schiavi e inseguire i fuggitivi). Gli uomini neri vengono uccisi e incarcerati a un ritmo sproporzionato in America, motivo per cui l’allenatore dei Clippers Doc Rivers spezza il fiato quando si chiede perché il paese che i neri amano non può semplicemente ricambiarli. Cosa diavolo c’è di sbagliato nel richiedere l’uguaglianza?”.
All’interno di quella bolla – scrive Le Batard – ad atleti importanti e ricchi, con voci e opinioni forti, viene detto di stare zitti. Alcuni tifosi non vogliono che il loro parco giochi sia segnato dal mondo reale: nessuno ha votato per te, stai muto e palleggia.
Nel frattempo il presidente Donald Trump sta cercando di essere rieletto sfruttando la paura della gente, dicendo alla periferia della casalinga bianca che la terrà al sicuro dai posti nei quali sono nati e cresciuti molti giocatori NBA. Parole chiave: muri, divisione, paura, repressione degli elettori, incarcerazione di massa, discriminazione abitativa, brutalità della polizia.
Il pezzo sottolinea come l’NBA abbia un potere che altre leghe altrettanto importanti e ricche non hanno: nella NFL Washington cambia nome e il burro di Land O ‘Lakes cambia la sua confezione rimuovendo i nativi americani dai loghi, e questo e quanto.
“Il vero cambiamento invece avviene molto più lentamente e richiede il trasferimento del potere”, scrive Le Batard. LeBron James crea una società di media per responsabilizzare i neri. Costruisce una scuola per ottenere borse di studio universitarie per bambini a rischio. Costruisce una comunità abitativa di transizione senza affitto per famiglie ad Akron che affrontare il problema di senzatetto e abusi domestici. Versa milioni alla mostra di Ali in un museo del patrimonio africano. Guida e finanzia un movimento di voto con il Fondo per la difesa legale NAACP per aiutare gli elettori neri. Aiuta a trasformare il Dodger Stadium in un seggio elettorale. Respinge mediaticamente ogni attacco di Trump e convoca Barack Obama per chiedere consigli.
“E’ stato Trump a dire che l’NBA è “un’organizzazione politica”, intendendo così screditarla. Ed è proprio così. È un’organizzazione politica che difende i diritti dei neri, un simbolo della forza dei neri, abbastanza potente da combattere anche una lotta ingiusta, che i neri stanno perdendo fin da quando sono nati in questo paese“.
“Troppo nera? Quello che una volta era un problema per l’NBA ora è una risorsa”.