ilNapolista

Oggi tutti scaricano Sarri ma chi ha creduto che il sarrismo fosse davvero qualcosa?

Il sarrismo unisce l’Italia, da Nord a Sud. La unisce nella sua inconcludenza. Non è Klopp né Guardiola né Ancelotti, ma ha comunque vinto una Europa League e uno Scudetto

Oggi tutti scaricano Sarri ma chi ha creduto che il sarrismo fosse davvero qualcosa?
Juventus' Italian coach Maurizio Sarri enters the pitch during the Italian Serie A football match SS Lazio vs Juventus FC.,(Hermann)

“La verità ha molte facce e non interessa a nessuno. Non oggi” è senz’altro la frase migliore a descrivere questo periodo storico mondiale, internazionale, italiano e napoletano. Sono i giorni in cui percezione e realtà vivono uno iato senza precedenti nel racconto dell’umanità, iniziato molti decenni fa con l’avvento dell’informazione di massa, proseguito poi con una violentissima impennata nel secolo scorso in cui la propaganda ha foraggiato crimini e deliri in tutta Europa ed oltre, fino ad arrivare ai nostri tempi, quelli nei quali la dinamica dei social media ha invaso tutto – il rapporto tra scienza e democrazia, gli equilibri degli Stati, la salute delle persone – conducendo alla psicosi collettiva di quest’ultimo decennio.

E il gioco del calcio sta lì, piccolo ma significativo come sempre, minuscola cartina di tornasole del turbinio circostante. Questo gioco, come il resto delle vicende umane, ha perso anzitutto il senso della scala, spinto com’è dalla furia della magnifica ma ancora sconosciuta globalizzazione, la firma in calce ai tempi che viviamo e che ancora non siamo stati capaci di decifrare a pieno. Un cantante interviene in parlamento e dice di non credere alla pandemia in corso perché non conosce nessuno, tra i suoi amici, ad aver contratto il virus. Penso a quanti tra noi non hanno mai visitato Campobasso, eppure non mettono segretamente in dubbio l’esistenza del capoluogo del Molise. Eppure è un argomento, uno tra i tanti, i giornali ne parlano, si dice sia necessario per salvaguardare il “pluralismo”, un altro feticcio di cui nessuno sa concedere una definizione. Ricorda il mantra delle mamme di una volta: “Mangia la frutta, fa bene” ma nessuno che ci spieghi perché.

Assieme al senso della scala abbiamo dimenticato il racconto di Lucignolo che leggevamo da bambini e da adulti abbiamo creduto che possa davvero esistere qualcosa di gratuito e non velenoso. Parlare e dire la propria non costa più nulla, non richiede alcuno sforzo di apprendimento né è il risultato dello scavalcamento di uno o più ostacoli. Parlano, scrivono, commentano tutti.

Il nostro piccolo calcio ha seguito la stessa strada verso il paese dei balocchi. Oggi la notizia, grande sorpresa, è che ci sono cascati tutti, in Italia, ma la mattina dopo la sbornia nessuno se ne sente responsabile (non c’è da stupirsene in un paese che ancora non ha capito che l’ultima guerra mondiale l’ha persa e non pareggiata ai rigori). Il football nazionale langue, moribondo, in crisi di danari, di idee, di uomini e allora sceglie l’illusione a portata di mano. L’uomo che viene dalla polvere ed è arrivato in cima – ancora ieri il compostissimo Agnelli ce l’ha ricordato con un siparietto degno del miglior Paolo Villaggio -, i triangoli, la palla a terra, l’aggressione al palazzo. Adesso Sarri viene scaricato da tutti i commentatori, dai dirigenti, dagli osservatori, da quelli delle ripartenze da dietro, ma chi ha creduto che il sarrismo fosse davvero qualcosa? Chi lo ha coltivato, chi ne ha scritto, chi lo ha spinto a forza nell’olimpo del calcio continentale a disprezzo di qualunque dato reale – chi se non gli stessi che oggi lo linciano, magari da una seggiola polverosa dove hanno passato gli ultimi trent’anni di anonimissima carriera, fregandosene del dato di fatto ovvio ossia che Sarri non è Klopp, non è Guardiola, non è Benitez e non è Ancelotti, ma ha tutto sommato vinto a Londra una Europa League e in Italia uno Scudetto? La notizia non è che il sarrismo sia servito, in modo più o meno clandestino, a scrivere libri superflui o promuovere carriere politiche che non lasceranno alcun segno, ma che la parte teoricamente più pragmatica e avanzata del paese, nel nostro racconto collettivo la più laboriosa, per assecondare questa massa assordante di commentatori virtuali, ci sia cascata con tutte le scarpe e lo abbia sfruttato per poi gettarlo nella mondezza il giorno dopo l’inevitabile.

Il sarrismo unisce l’Italia, da Nord a Sud, con tanti saluti a chi ancora si trastulla con la storia che “terrone” sia una offesa. La unisce nella sua inconcludenza, nel suo essere un paese irrilevante. Questa è una nazione svuotata di talento, forse e’ il momento di dirlo un po’ più esplicitamente. E non perché, come diranno i passatisi, questo talento nel mondo manchi – perché il talento c’è, cari ex di tutto, ormai anziani – ma semplicemente perché l’Italia questo talento non lo ospita più. Questo talento è oggi altrove.

In ciò che rimane del 2020 – e probabilmente anche in gran parte dell’anno che verrà – sarà fondamentale tenere i nervi saldi, navigare nel mare di inutilità che ci circonda mantenendo, per quel che si può, i piedi a terra. Bisognerà rileggere (o leggere, se non lo si è fatto ancora) qualche classico, stare finalmente un po’ zitti, ficcarsi il pluralismo dove merita e lasciar entrare in noi qualche parola di chi può avere davvero qualcosa da dire: la verità non interessa a nessuno. Tuttavia essa esiste. Fuori dalle statistiche degli improvvisati, fuori dagli studi scadenti di chi ha studiato poco. L’Italia è un paese in cui Vanzina – ripeto, Vanzina – dice di aver finito la sua carriera a causa del perbenismo. Il perbenismo avrebbe ucciso Vanzina. In Italia. Non l’inesistenza delle trame dei suoi film.

Si salvi chi può.

ilnapolista © riproduzione riservata