Il Washington Post ha pubblicato le accuse di molestie di 15 dipendenti. E ora una delle squadre più gloriose del football americano affronta la tempesta mediatica perfetta: razzismo e sesso
I dettagli sono importanti, per il giornalismo anglosassone. Per cui dal momento in cui i Washington Redskins hanno annunciato di non chiamarsi più Redskins (perché “pellerossa” nel 2020 è razzista), nel titolo e nel pezzo del New York Times i Redskins si chiamano Washington. Washington e basta. Ma mentre il dibattito semantico passa tutta la trafila del politicamente corretto, la sostanza del pezzo va da un’altra parte: i Washington e basta, squadra tra le più famose del football americano, sono nel bel mezzo di uno scandalo sessuale. Sesso e razzismo. Bingo.
Il proprietario Dan Snyder ha assunto uno studio legale del Distretto di Columbia per rispondere alle accuse incrociate di ben 15 donne, ex dipendenti della franchigia, che accusano di essere di essere state molestate sessualmente mentre lavoravano per il club. Tutto è nato da uno scoop del Washington Post che ha svelato le accuse.
In una dichiarazione pubblica, il club afferma di prende molto sul serio le problematiche legate alla condotta dei dipendenti e, “quando vengono avanzate nuove accuse di condotta contrarie a queste politiche, le affrontiamo prontamente”.
Nell’ultima settimana in tre hanno lasciato la società. Larry Michael, il commentatore delle partite per la radio dei Redskins, ha improvvisamente rassegnato le dimissioni; Alex Santos, direttore del personale professionistico, è stato licenziato la settimana scorsa. Emily Applegate, una delle 15 donne confidatesi con il Post, ha affermato che il presidente Bruce Allen doveva sapere cosa stava succedendo, perché l’ha vista più volte piangere. E che anche Snyder è difficile non sapesse nulla. Né il proprietario, né il presidente sono comunque stati formalmente accusati di molestie.