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Nba a rischio. I giocatori non vogliono giocare, «è in conflitto con la nostra battaglia al razzismo»

Videoconferenza tra 200 giocatori. Irving capo della “rivolta”. «Che messaggio daremmo chiudendoci tre mesi a Disney per finire il campionato?»

Nba a rischio. I giocatori non vogliono giocare, «è in conflitto con la nostra battaglia al razzismo»

L’ondata di proteste scatenata dall’omicidio di George Floyd sta spegnendo la “magia” di Disney World: i giocatori – che nel basket americano sono in gran numero afroamericani – potrebbero fermare la ripresa del campionato, programmata nella “bolla” in Florida dal 31 luglio. Ieri, la star dei Brooklyn Nets Kyrie Irving, membro del Comitato Esecutivo NBPA, ha condotto una videoconferenza con circa 200 giocatori per discutere l’ipotesi di non tornare in campo.

L’impatto delle sommosse razziali per Floyd è enorme, cresce la corrente per la quale sarebbe incongruo giocare in una situazione del genere. Avrebbe un effetto negativo, e andrebbe contro ciò che sostengono. Molti giocatori pensano che stare “rinchiusi” per tre mesi giocando vada contro i loro principi. “Quale messaggio vogliamo dare accettando di partecipare a questo torneo per tutto quel tempo?”, ha detto un giocatori, in maniera anonima, a Yahoo Sports.
“Stiamo andando a marciare e protestare affinché le nostre famiglie non vivano più tempi di paura e incertezza razziale, per chiuderci in un posto dove non ci saranno i nostri proprietari? Che senso ha?”.

Una dichiarazione di intenti approvata da Irving durante il meeting, nel quale ha esortato tutti a non giocare o, almeno, a considerare di non farlo. Anche Donovan Mitchell, Carmelo Anthony e Dwight Howard sosterrebbero questa ribellione organizzata. Molti altri non parlano per paura di andare contro le superstar, che sono i primi sostenitori del ritorno in campo.

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