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Il Guardian e l’ipocrisia dello sport: sfrutta l’anti-razzismo come strategia di marketing

Durissimo editoriale. Contro la Nfl, il Barcellona e altri: frasi vuote sui social per la morte di Floyd. Dimostrateci cosa siete disposti a rischiare

Il Guardian e l’ipocrisia dello sport: sfrutta l’anti-razzismo come strategia di marketing

Alla fine, dopo appena cinque giorni dall’uccisione di George Floyd, la NFL ha parlato. La lega del football americano che di fatto ha ostracizzato l’inventore della genuflessione di protesta, l’ex quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick, ha rilasciato una breve dichiarazione nella persona del suo commissioner Roger Goodell.

Il Guardian scrive che Goodell esprime le sue condoglianze alla famiglia Floyd, affermando il “bisogno urgente di azioni” senza specificare quali potrebbero essere queste azioni, che bisogna affrontare le “questioni sistemiche” senza specificare quali siano queste questioni. Le parole “polizia”, ​​”nero” e “razzismo” non vengono menzionate. “E’ un’insalata di parole, una frase enigmatica di un adolescente scontroso di 61 anni, cucinata in una pentola di yogurt da un dipartimento di comunicazione aziendale e sputata su Internet in un formato meme facilmente condivisibile”.

Mentre in Italia la stampa si limita ad incensare le uscite – tra l’altro blande, tranne qualche rara eccezione (tipo quella di De Laurentiis, unico tra i presidenti del calcio ad aver detto qualcosa di degno) – Jonathan Liew, nel suo editoriale in apertura dello sport sul Guardian, fa a pezzi la retorica: le grandi organizzazioni sportive che adesso salgono sul carro della solidarietà, non fanno niente per cambiare il sistema. Niente.

L’NFL è l’esempio più plateale. Joe Lockhart, ex vicepresidente della lega, ha ammesso la scorsa settimana che la decisione dei proprietari della NFL di non assumere più Kaepernick è stata una scelta ideologica: “Nessun proprietario era disposto a mettere a rischio l’attività per questo problema”.

Sabato, anche l’UFC (la maggiore organizzazione di arti marziali miste del mondo) ha preso posizione, mostrando una grafica in tv in memoria di Floyd. Alla richiesta di spiegare il gesto, il presidente della UFC, Dana White, ha risposto: “Perché dovremmo? Quello che è successo è stato orribile”.  L’impegno della UFC nel commemorare le vittime della violenza razzista – scrive il Guardian – avrebbe potuto avere un peso maggiore se avesse scelto di sanzionare Conor McGregor, uno dei suoi combattenti più redditizi, per aver detto a Floyd Mayweather, l’ex campione nero di pugilato: “balla per me, ragazzo”, come facevano gli schiavisti.

E così il Barcellona. Che ha ovviamente rilasciato una dichiarazione di prassi contro il razzismo, che “sarebbe stata più convincente se non avesse tentato di trasformare la morte di un americano nero disarmato in una parabola universalista su ogni discriminazione, ovunque. Se non avesse srotolato il tappeto rosso per Luis Suárez nel 2014, autore di noti atti razzisti su avversari in passato”.

In pratica, scrive il Guardian, “non c’è praticamente nessun movimento, nessuna conversazione che i grandi marchi non cercheranno di usare per portare l’attenzione su se stessi”. Senza “un vero sacrificio, una vera introspezione, un vero apprendimento, un vero lavoro”. Senza mettere in discussione “i sistemi che consentono il razzismo, le strutture che lo preservano, le forze politiche che lo incoraggiano, le strutture linguistiche e comportamentali che lo giustificano, le iniquità finanziarie che lo sostengono”. Una cosa che richiederebbe “scelte difficili, scelte controverse, scelte che allontanerebbero una parte dei tifosi, forse anche scelte che finirebbero per costare denaro”.

Questo è anti-razzismo come esercizio di pubbliche relazioni, come strategia aziendale. O come Americus Reed, professore di marketing della Wharton School, ha detto al New York Times: una forma di marketing mirato basato sui valori e sull’identità”.

Ma è un campo minato: “non dire niente può essere incriminante come dire la cosa sbagliata. Possiamo tutti farci una bella risata sul bizzarro remix di Martin Luther King fatto da David Guetta per una raccolta fondi della Major League Soccer. Ma alla fine, questa è una causa troppo importante per essere dirottata dall’insincerità aziendale“. Le grandi organizzazioni sportive potrebbero ispirare e farsi seguire da milioni di persone, scrive il Guardian. “Ma se aspirano a essere più di marchi senza volto, devono mostrarci cosa c’è dietro l’hashtag: mostraci come stai affrontando il pregiudizio inconscio. Mostraci come stai educando i tuoi atleti e i tuoi tifosi. Mostraci cosa stai facendo riguardo alla brutalità della polizia quando non è una notizia da prima pagina. Mostraci come stai lottando contro il razzismo quando non ti riguarda direttamente. E se questa è una causa a cui tieni davvero, mostraci – in definitiva – cosa sei disposto a rischiare“.

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