Su Repubblica. Uscire per ritrovarmi in strada con il solito ragazzo che mi urta e mi insulta, e la folla che intasa le vie dello shopping più dei giardini? Non ho paura del virus, ma di noi. Perché dovremmo essere cambiati?
Su Repubblica Natalia Aspesi scrive della riapertura dell’Italia. Della Fase 2. Non sente il bisogno di uscire, di ritrovare la libertà. E spiega perché.
“Quindi mi richiedo, perché uscire? Perché ritrovarmi in strada con il solito ragazzo che mi urta e mi insulta, e la folla che intasa le vie dello shopping più dei giardini, anche se con le saracinesche ancora abbassate? E vedere chi torna al lavoro, se ancora ce l’ha, contendersi il privilegio di servirsi di un mezzo pubblico, nel disordine delle nuove regole e degli intoppi, e delle code non code, e delle smanie degli sconosciuti mascherati che ti schiacciano perché in certe situazioni stare a due metri di distanza è un’ipotesi fantasiosa”.
Aspetterà ancora per tornare in strada, nonostante sembri che Milano e l’Italia siano tornate “ligie come non lo sono mai state”.
“Vilmente aspetto, forse uscirò domani, forse dopodomani, forse chissà quando: non ho paura del virus, anche se siamo tutti in continuo allarme perché se di nuovo esplode sarà peggio di quel che raccontava Pepys nel suo diario sulla secentesca peste di Londra. Ho paura di noi, degli altri ma anche di me. Abbiamo lasciato un tempo fa che pare infinito, una vita cui adesso si dovrebbe tornare, ma che già non ci piaceva più, tutti a lamentarsi ingrugniti, già a distanza per rimarcare una antipatia, una differenza, una separazione, una reciproca superiorità, una opposta appartenenza a qualsiasi cosa: e se vicini solo per uno sgambetto o un pugno alzato”.
Perché la tragedia che ha colpito l’Italia e il mondo dovrebbe averci resi diversi? Perché dovremmo essere cambiati? Si chiede.
“Per quale ragione dopo questi due mesi di tragedia, la vita imprigionata, il futuro che centinaia di futurologi promettono spaventoso, dovremmo essere cambiati, diversi, nuovi?”
Non bastano due mesi di clausura, “forse neppure anni”. Anche se questa esperienza ha coinvolto il pianeta.
“Rivelando al nostro egoismo di provincia che non ci siamo solo noi o addirittura solo la Lombardia, ma siamo una piccola insignificante porzione di tutto l’immenso mondo, siamo un solo mondo, senza scampo, nel bene ma soprattutto nel male. Io mi sento prigioniera non perché sono stata chiusa in casa, ma perché il mondo con tutti i suoi mastodontici disumani errori contro se stesso si è imprigionato da sé. Mi ha imprigionato: ma anche se mi grazia e mi libera, che libertà, che grazia, non a me ma agli altri, assicura?”.