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Non passa più l’arrotino ma la Protezione Civile: “donne, è arrivato il coronavirus”

Diario di un quarantenne in quarantena – Il tam tam sul contrabbando di pizze a domicilio, la scomparsa del Ketchup Heinz dagli scaffali

Non passa più l’arrotino ma la Protezione Civile: “donne, è arrivato il coronavirus”

Fuori il mondo è ancora imbambolato, me ne accorgo dall’assenza delle macchine in sosta vietata. La mia strada ha dei sussulti solo grazie a Don Gennaro.

Don Gennaro ha una tabaccheria da almeno 50 anni, anche se definirla tabaccheria è riduttivo. Ha un deposito che per magia è secondo solo al binario 9 e ¾ di Harry Potter: tu entri, chiedi una roba qualsiasi, Don Gennaro manda il suo cingalese di fiducia nel locale magico e… puf: ce l’ha. Più volte ho provato a sbirciare cosa ci fosse lì dentro, ma senza risultati. Ad oggi mi sono convinto che sia direttamente collegato con un deposito Amazon di circa 45.000 mq, protetto da telecamere, coccodrilli ammaestrati, camorristi a riposo, cingalesi da combattimento e l’immancabile rete elettrificata.

Da qualche tempo, anche fuori questo piccolo Guru della tabaccheria, si sono formate piccole file ordinate.

Poco distante da Don Gennaro ci sono le campane della differenziata. In questa settimana le ho frequentate abbastanza facendo in modo da centellinare il conferimento per poter almeno vedere il mondo fuori.

Per i butta-munnezza indisciplinati è un enorme Capodanno. La settimana scorsa vicino la campana della plastica ho trovato due assi di legno. Martedì, un vetro. Ieri sera uno sgabello. Solo dopo, riflettendoci, ho capito: si trattava di una pubblicazione a puntate del tipo “costruisci il tuo mobile da trucco in 47 semplici mosse”.

In questa detenzione ormai c’è una certa routine. La mattina non passa più l’arrotino, ma la jeep della protezione civile: “donne è arrivato il coronavirus…” “chiudetevi in casa e respirate e targhe alterne”. E no, l’umore non ne risente proprio.

Per fortuna questa settimana mi è toccato anche avventurarmi fino alla Riviera di Chiaia, per andare a portare la spesa a mia madre. Mi sentivo Remì, ma senza scimmietta sulla spalla. La prima volta che ci ero andato portavo in tasca un foglio A4 con stampato il modulo di autocertificazione, dopo le varie modifiche ho ritenuto utile prendere una cartellina e infilarci dentro:

– stato di famiglia integrale
– certificato di decesso di mio padre per attestare che non vi è coniuge che possa assistere
– foto di me e mamma abbracciati per dimostrare che non sono il genere di figlio che si ricorda della madre solo quando, nel pieno di una pandemia, ha bisogno di una scusa per uscire da casa…
– visura catastale, contratto di locazione, risultati analisi della prostata e test psico-attitudinale dei 3 giorni del militare.

E’ andato tutto bene, non fosse altro per il saluto da lontano, gli occhi lucidi e un paio di iastemme represse nelle gola.

La “quarantena” pone ciascuno di noi di fronte a ciò che davvero è necessario. Non parlo di cose esistenziali tipo gli affetti, la libertà ecc, ma della lista della spesa.

Esempio: per mia madre è fondamentale inserire nella lista della spesa “frittelle di mare congelate (2 buste da 1Kg), pasta di mandorle in vassoietti, n. 12 arancini di riso, anch’essi congelati. Forse ad allontanare il timore di un decreto di De Luca che possa vietare i grassi saturi.

Per me invece sono fondamentali: i taralli al rosmarino; per i miei figli, ma anche per me: il Ketchup Heinz. Quello che i giornali non vi dicono è che attualmente il Ketchup Heinz è introvabile, hai voglia a dire usa il Calvè. La fine della libertà inizia esattamente da qui, prendere un ketchup a caso…

E poi il cibo a domicilio. Vietato consegnare il cibo a domicilio, che tradotto significa “niente pizza a casa”. Lo riscrivo perché altrimenti non pare vero, “niente pizza a casa”. Che poi è vero, abbiamo fatto la pizza in casa, ci abbiamo messo le peggio cose sopra, è venuta anche bene, ma il magico contenitore quadrato, l’odore che lascia dapprima nell’androne e poi in ascensore, quello non puoi riprodurlo e vi confesso che ci ho provato mettendo un ventilatore vicino al forno acceso.

A riguardo mi arrivano voci, messaggi, bisbigli: “ce sta uno a Materdei che porta a pizza a cas’, ‘a lascia dint a cassetta da posta…” ed io penso a queste pizze-pizzini clandestine incartate in finte prescrizioni mediche consegnate da staffette partigiane.

“C’è un bar a fuorigrotta che fa il caffè con una vecchia Rancilio piazzata nel retrobottega, te lo lascia su una cassetta dell’Enel subito fuori al bar, e tu devi infilare i soldi sotto una pietra”.

Per non parlare di quello a Scafati, “cala una tiella di olio bollente con dentro tutto il friggibile, tu passi, tiri su con la schiumarola e scappi via”. Quest’ultimo pare non si faccia nemmeno pagare, è un modo per rivendicare la superiorità del fritto sulla pandemia. Noi scherziamo… Ma a San Giuseppe davvero ci sono stati gli “zeppolari” clandestini…

E comunque nelle mie rarissime uscite il problema è come proteggermi. Non ho mascherine, ne ho fabbricata una in casa con garza e elastici, credo da un tutorial di Mucciaccia, ma dopo 5 minuti di utilizzo ho smesso di respirare e la gente fuori al Conad ha iniziato a guardarmi storto. Una signora si è tirata indietro il carrello per paura che potessi contagiare pure lui.

La maggior parte dei napoletani però ha risolto con la sciarpa pensando segretamente: “quando un virus con la cazzimma incontra un uomo con la sciarpa, il virus con la cazzimma è un virus morto”. Ed alla saggezza popolare io non mi oppongo.

Dalla cella n. 13 è tutto, alla prossima ora d’aria.

2 – continua

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