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Diario di un quarantenne in quarantena

Una cronaca per provare a sorridere un po’. La farmacia è diventata la nuova Agorà. Il racconto di un’uscita per fare la spesa

Diario di un quarantenne in quarantena

Un quarantenne in quarantena.

Settimana 1.

Sabato 7 marzo scorso sciavo tra le margherite.
Sabato scorso cercavo un pennellino per pulire gli anfratti più remoti di un mobile da balcone in anodizzato.
Ecco il primo risultato del coronavirus. Mi sono trasformato in un folletto in carne ed ossa.
Non c’è cosa che io non abbia pulito o sognato di pulire.
Si, ho anche sognato di pulire, ho sognato un mocio a 3 teste, un essere mitologico in grado di pulire salone, cucina, camera da letto allo stesso tempo.
Ma magari fosse solo questo.
All’inizio la vacanza forzata non mi ha disturbato più di tanto, poi si è trasformata in ciò che è, un arresto domiciliare con qualche permesso premio e con infruttuosi tentativi di evadere.
Un giorno potrò dire di essere stato condannato lo stesso giorno di Cecchi Gori.
I permessi premio dicevo, ma quali?

Permesso premio 1: conferimento rifiuti. Ho benedetto e benedico il porta a porta che mi consente di vedere l’androne del palazzo quasi tutti i giorni.
Giusto un po’ di ansia quando alle 19 vado in cucina e temo che la mia compagna di cella mi abbia preceduto.

Permesso premio 2: fare la spesa. Al momento ne ho avuto uno soltanto. Gli altri sono stati assegnati alla mia compagna di cella. Devo confessare di non essermelo goduto però.
Il breve tragitto da casa al Conad l’ho passato rasentando i muri dei palazzi. “Come una spia” penserà qualcuno, “come una zoccola” ho immaginato io.
Al supermercato non ho trovato né file, né situazioni di disagio, ma solo qualche avventore messo, (ne sono quasi convinto), da De Luca per generare il solo desiderio di murarsi in casa.
Nella lista della mia compagna di cella beni preziosi tra i quali “alcool denaturato”.
L’ho cercato tra gli scaffali facendo attenzione a non chiedere a nessuno per evitare il contagio fin quando, all’ennesimo giro, un tizio poggiato ad un espositore, bavero della tuta alto fino a coprire anche il naso e cappuccio ben calcato in testa mi fa: “alcol?”. Ed io sommessamente “si, quello rosa, semplice” e lui “seguimi” allungando un braccio nella mia direzione come a creare il famoso metro di distanza e l’altro verso una direzione ignota.
“Lo vedi?”
“Cosa?”
“Quel vuoto…” Pausa che nemmeno Carmelo Bene, e poi: “Non ci sarà alcol fino al giugno 2020”.
Non ho potuto fare altro che pensare “a questo i Maya con le loro profezie ci fanno i servizi a casa”.
Ovviamente l’alcol l’ho trovato poi dal tabaccaio sotto casa, “Don Gennaro”, ma di lui dirò poi. Don Gennaro ha inventato Amazon, lo ha fatto negli anni 80, ma nessuno ne parla.

Permesso premio 3: portare la spesa a mia madre. La volta, per ora unica in cui ne ho goduto, mi sono vestito in stile cappuccetto rosso che attraversa il bosco.
Per non far insospettire le forze dell’ordine ho indossato una giacca dalle fantasie plaid anni 80 ed ho portato con me un cestino di vimini, segno in equivocabile che trasportavo derrate alimentari.
Ho anche ipotizzato di attaccare un adesivo sul motorino del tipo “trasporto autorizzato”, ma avrei dato troppo nell’occhio.
Sono arrivato a destinazione, ho abbracciato mia madre in stile “figli di un dio minore” e sono tornato in cella.

Ho ancora da giocarmi il permesso 4. Ma è il più rischioso: “Il permesso farmacia”.
Il rischio di contagio è alto, generalmente chi va in farmacia non è proprio in formissima, ma di questi tempi la farmacia è diventata la nuova Agorà. Chi ci è stato mi racconta di incontri tra sindacalisti, di donne che complottavano contro il caro assorbenti, di rifugiati intenti a falsificare permessi di soggiorno, ma anche di politici, faccendieri, boss della mala.
Quando sarà il mio turno saprò dirne di più.
Ma veniamo ai, anzi, al tentativo di evasione.
C’è un luogo dove l’uomo medio da sempre, dalla notte dei tempi si rifugia, trova conforto, costruisce, (distrugge), fa pace e litiga con se stesso: il box auto.
Sbagliano gli storici a parlare di uomo delle caverne. L’uomo dei box, quello esisteva, da lì è partito tutto.
Una parte di me sapeva che presto o tardi l’armageddon avrebbe beccato l’uscita vomero arenella e così mi ha permetto di prepararmi.
Ogni settimana, per mesi, ho aggiunto mensole che venivano giudicate inutili, ho spostato verso l’alto biciclette per liberare superficie calpestabile ritenuta superflua, ho aperto pacchi e sistemato cose deteriorabili verso la parte meno umida, ho inserito un deumidificatore e tirato fuori litri e litri di acqua utili per quando taglieranno le forniture.
Ed ora… Ora il bunker, lui almeno, era pronto, è pronto.
Ad oggi, tutti i pomeriggi ho sceso la scale 4 a 4, (2 a 2 va), per raggiungere l’agognata libertà, ho aperto la porticina del locale garage, spalancato il portone automatico che affaccia su strada privata a sua volta protetta da altro cancello e poi finalmente il mio box, e lì siamo stati io, i motorini, l’auto, la munnezza e tutto il mondo fuori……
Ma un’evasione a tempo, non è davvero un’evasione, prevede un ritorno in cella.
Si tranquillizzi Rudolph De Luca, rimetta il guinzaglio ai cani, ho rispettato e rispetto tutte e 116 le ordinanze, i decreti, i regolamenti, le note a margine, i ringraziamenti, le dediche, i vaticini…
Sono ancora qui, chissà ancora per quanto. Io, in un minuscolo angolo del mondo contagiato dal contagio, Io, un quarantenne in quarantena.

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