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I giudici non hanno dubbi: esiste un nesso causale tra uso del cellulare e tumore

Due gradi di giudizio danno ragione a un ex dipendente Telecom che nel 2017 ha fatto causa all’Inail. I periti: gli studi scientifici che dicono il contrario sono viziati da conflitto di interessi. L’Iss: nessun danno

I giudici non hanno dubbi: esiste un nesso causale tra uso del cellulare e tumore

Tra uso del cellulare e insorgenza del tumore c’è un nesso di correlazione. Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Torino, confermando una sentenza del Tribunale di Ivrea del 2017.

I fatti

Nel 2017 il Tribunale di Ivrea si pronunciò sul caso di Roberto Romeo, dipendente Telecom malato di tumore al nervo acustico dell’orecchio destro. Romeo aveva fatto causa all’Inail dopo aver scoperto di essere ammalato. Il Tribunale, all’epoca, dichiarò che c’era un nesso causale tra la malattia e l’utilizzo spropositato del telefonino. A inizio dicembre 2019 la Corte d’Appello torinese ha confermato, condannando l’Inail a riconoscere il risarcimento a Romeo per malattia professionale.

Nelle motivazioni, i giudici scrivono che, con «criterio di elevata probabilità logica» si può

«ammettere un nesso tra la prolungata e cospicua esposizione lavorativa a radiofrequenze emesse da telefono cellulare e la malattia denunciata».

Secondo quanto dichiara la Corte, negli anni tra il 1995 e il 2010, Romeo ha utilizzato i cellulari per un periodo di 4 ore al giorno, 840 l’anno e 12.600 in 15 anni. All’epoca non esistevano nemmeno filtri come cuffiette e auricolari.

Il parere dei periti

Nel corso del processo i giudici hanno chiesto a due periti di analizzare il materiale scientifico. Questi hanno affermato che esiste un nesso causale tra esposizione alle radiofrequenze da cellulare e il tumore.

Nella sentenza i giudici scrivono:

«L’impostazione dei periti è del tutto condivisibile, essendo evidente che le conclusioni di autori indipendenti diano maggiori garanzie di attendibilità rispetto a quelle commissionate o finanziate almeno in parte da soggetti interessati all’esito degli studi».

Insomma, la maggior parte degli studi che finora hanno analizzato un legame del genere sono viziati da conflitto di interessi. E’ ciò che avevano espresso i periti, criticando, tra l’altro, anche lo studio dell’agosto scorso dell’Istituto superiore di Sanità, secondo il quale non c’è alcun legame tra uso del cellulare e cancro.

Una battaglia di sensibilizzazione

Gli avvocati torinesi Stefano Bertone e Renato Ambrosio, che hanno seguito la vicenda, spiegano che si tratta di una battaglia di sensibilizzazione.

«Manca l’informazione su una questione che interessa la salute. Basta usare il cellulare 30 minuti al giorno per 8 anni per essere a rischio. Speriamo che i genitori comincino a riconsiderare il rapporto dei loro figli con i telefonini».

La posizione dell’Istituto Superiore della Sanità

L’Iss, intanto, continua a confermare la sua teoria della mancata correlazione. Oggi, su Repubblica, un’intervista al primo ricercatore dell’Istituto, Alessandro Vittorio Polichetti.

«Fra tanti studi effettuati, alcuni hanno mostrato un tenue effetto, tanto che la Iarc, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, nel 2011 ha classificato i cellulari fra i possibili cancerogeni. Ma non c’è nulla di dimostrato. Sappiamo solo dire che il legame è impossibile da escludere».

L’unico effetto dimostrato, quando parliamo al cellulare, spiega, è un “leggero riscaldamento”, ma si tratta di pochi decimi di grado.

«È impossibile che creino danni, di questo siamo sicuri».

La battaglia legale, intanto, va avanti. l’Inail potrà infatti presentare ricorso in Cassazione.

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