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Se il Napoli ascoltasse la lezione di Galliani sul senso di appartenenza

«Berlusconi e io lo abbiamo coltivato con ostinazione, è fondamentale per avere successo». Il discorso di Berlusconi ai calciatori che volevano cacciare Sacchi

Se il Napoli ascoltasse la lezione di Galliani sul senso di appartenenza

Oggi il Corriere dello Sport ha ospitato una intensa intervista di due pagine ad Adriano Galliani dirigente calcistico che non ha bisogno di presentazioni. Qualcuno, pensando di offenderlo, ancora lo apostrofa “il geometra Galliani”. Dopo aver vissuto da grande protagonista l’epopea del Milan berlusconiano, ha convinto il Cavaliere ad acquistare il suo Monza. Dopo trent’anni al Milan, la coppia si è ricostituita pochi chilometri più in là. Il Monza sta dominando il girone A della Serie C. Dopo 17 partite – sono 38 in tutto – ha 13 punti di vantaggio su Pordenone e Renate. «Tra un anno e mezzo saremo in Serie A», dice a Ivan Zazzaroni. E aggiunge: «E chiamerò Carlo Ancelotti». Nell’intervista Galliani cita spesso Ancelotti. Ma non è questo il punto. Il punto è una sua dichiarazione.

Non ho dovuto convincerlo (Berlusconi, ndr), ha impiegato un minuto e quindici secondi per dirmi “prendiamo il Monza”. Mi rende molto orgoglioso il fatto di averlo visto a Olbia, Lecco, Como, Busto Arsizio. Ora è tifosissimo. Crediamo entrambi in un valore che coltiviamo con ostinazione, il senso di appartenenza. Per avere successo nel calcio e nella vita è fondamentale».

Il senso di appartenenza. Detto da un signore che ha vissuto in prima fila in uno dei club che hanno fatto la storia del calcio. Senso-di-appartenenza. Tre paroline che suonano quasi stonate, anacronistiche, in un mondo in cui si continua a ridurre tutto in numeri: 4-3-3, 4-2-2. Da tre numeri a tre parole.

Quella di Galliani al Corsport è l’intervista di un appassionato di calcio, di un innamorato del calcio. Che è andato allo stadio – a Monza appunto – per la prima volta quando aveva cinque anni. Lo fece con sua madre. Che ha vinto tutto. E che ovviamente ha perso anche. Si ricordano sempre e soltanto le vittorie. Ma ha perso tre finali di Champions e fu protagonista assoluto della indimenticabile serata di Marsiglia, quando emulò l’emiro del Kuwait e intimò ai giocatori di abbandonare il campo per un guasto ai riflettori.

È un uomo che non soltanto ha vinto ma che ha attraversato il calcio, lo ha sviscerato. Senso di appartenenza. Tre parole che riecheggiano nella testa, soprattutto guardando quel che sta accadendo al Napoli da circa un mese. La situazione è esplosa da circa un mese ma ovviamente covava da tempo. E non se ne esce. Perché senza spirito di appartenenza è dura. Anzi, è impossibile. Un valore che – ha detto Galliani – lui e Berlusconi hanno coltivato con ostinazione. È il senso di appartenenza che ti fa dare quel qualcosa in più quando le forze stanno per abbandonarti. Quando sembra che tutto stia naufragando. Ti guardi attorno e sei orgoglioso del posto in cui stai, della maglia che indossi, della storia che hai ereditato e di cui oggi sei responsabile.

Senso di appartenenza che è difficile ritrovare nel Napoli. Un nucleo che oggi sembra alla deriva. Tra accuse reciproche, ammutinamenti, multe, vertenze, schemi di gioco, rendimenti inadeguati in campo con improvvise prestazioni da circoletto rosso e tante, troppe, performance all’insegna della mediocrità, del distacco emotivo.

Ecco cosa manca al Napoli. Non te lo dà uno schema di gioco. Non lo risolvi da un giorno all’altro. Devi avere il coraggio di andare fino in fondo.

Il senso di appartenenza è quell’aneddoto che racconta sempre Arrigo Sacchi. L’intervento di Silvio Berlusconi, nella stagione 1987-88, prima di Verona-Milan, quando – dopo aver perso 0-2 in Coppa Uefa contro l’Espanyol e aver sentito brutte voci provenienti dallo spogliatoio – Berlusconi si precipitò e parlò chiaramente ai propri calciatori: «Il prossimo anno, il signor Sacchi sicuramente sarà tra noi, voi non lo so». Nessun appiglio, nessuna frase poco chiara. Chi vince, chi lascia il segno, traccia una strada e la persegue. E sappiamo bene, a nostre spese, come finì quell’anno e che cosa costruì quel Milan. Bisogna avere il coraggio delle proprie idee, e ovviamente bisogna avere idee. Altrimenti si navigherà sempre a vista.

Se si vuole affrontare il Cammino di Santiago la prima cosa da fare è partire, noi siamo partiti e vogliamo arrivare il più in fretta possibile al traguardo.

Galliani racconta il momento più buio del Milan. Ed è ovviamente la finale di Champions a Istanbul nel 2005, la famigerata partita Milan-Liverpool: 3-0 e poi 3-3 e sconfitta i rigori.

Quella sconfitta avrebbe potuto ucciderci. Soltanto uno come Ancelotti poteva ripartire dopo un incubo del genere. Grandi capacità di sdrammatizzazione, un rasserenatore impareggiabile.

E ancora (ha parlato molto di Ancelotti, ve l’avevamo detto):

Le ho appena spiegato che se c’è un tecnico capace di uscire vincitore dalle situazioni più complicate, questi è Ancelotti. Di lui ci si può fidare ciecamente, possiede tutti gli strumenti, dal dialogo al polso fermo.

Alla conoscenza del concetto di senso di appartenenza. E chissà che non sia proprio questo uno degli elementi della sua estraneità.

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