L’ex campione del mondo a Repubblica: “Lo sport non è razzista. Sono razzisti gli stadi. I giocatori devono unirsi e tutti devono aiutarli”
Repubblica intervista Marcel Desailly, campione del mondo (1998) e d’Europa (2000) con la Francia, tra i cerimonieri del sorteggio per l’Europeo in Romania. Il tema è il razzismo.
Desailly dichiara subito di condividere l’idea che le squadre abbandonino il campo appena si verificano ululati razzisti.
«È un gesto forte, ma dei gesti forti c’è bisogno quando i problemi sono così seri».
Sarebbe un’iniziativa che andrebbe a toccare il business avrebbe effetti sul portafogli e sulle coscienze.
«Se per un po’ si toglie il calcio, all’occorrenza anche per uno o due mesi, la potenza educativa del messaggio verso i giovani è formidabile. Quanti, tra quelli che fanno il verso della scimmia, sono davvero profondamente razzisti? E quanti, tra i dirigenti che oggi minimizzano il problema, non interverrebbero per sradicarlo, di fronte alla prospettiva di dovere rimborsare il biglietto al pubblico e al rischio che il business crolli?».
Anche Desailly negli anni Novanta, quando giocava nel Milan, fu oggetto di cori e ululati razzisti, a Udine.
«Il problema non va personalizzato sui singoli casi. Lo sport non è razzista: l’allenatore fa giocare i migliori, la loro origine non conta. Sono razzisti gli stadi, però, e i giocatori devono unirsi. Quanti sono i calciatori neri in Serie A, una ventina? Una minoranza: serve che tutti li aiutino. L’attenzione mediatica sulla questione, rispetto agli anni Novanta quando giocavo nel Milan, è molto più alta».
La responsabilità dei dirigenti è enorme, spiega.
«I dirigenti hanno una responsabilità fondamentale. Il mondo del calcio deve smetterla di dire che certe offese sono solo un modo per destabilizzare. Sfido chiunque a sopportare per un’ora e mezza il verso della scimmia. Le istituzioni hanno un compito essenziale».
Individuare i razzisti, con la tecnologia di cui si dispone oggi, è possibile.
«Vanno puniti pesantemente, come si fece in Inghilterra con gli hooligans, grazie a regole rigide. La battaglia si può vincere. Ma bisogna cominciare a osare. Senza avere paura».