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Basta parlare di razzismo. Al calcio italiano non interessa

Non è ritenuto un problema, ma solo un’esagerazione. Le società non hanno il coraggio di inimicarsi i tifosi (tranne alcune) e allenatori e calciatori quello di mettersi contro le curve

Basta parlare di razzismo. Al calcio italiano non interessa

Basta parlare di problema razzismo. Al calcio italiano non interessa la questione. Non la ritiene evidentemente grave o reale, altrimenti non si spiega la tolleranza verso certi rigurgiti popolari che vengono da alcune curve italiche.

L’Italia è un Paese morto culturalmente, che considera ancora lo Stadio uno sfogatoio franco dove tutto è concesso. Una visione vetusta, maschilista e provinciale accomunabile solo alle arene gladiatorie capuane.

Le società non hanno il coraggio di inimicarsi i tifosi (tranne alcune) e gli addetti ai lavori, allenatori e calciatori, quello di mettersi contro le curve.

Se per definizione il razzismo si configura come un atteggiamento di intolleranza sociale che porta un individuo o un gruppo a non accettare l’esistenza di individui e gruppi con modi di pensare e di agire differenti dai propri, allora io sono razzista convinto verso quegli imbecilli che nascondono dietro a “buu e a banane” la loro spregevole inadeguatezza nello stare al mondo, allo stadio.

Dicevamo delle società, ma è il sistema tutto a non considerare evidentemente grave la questione. Dalle famose boutade di Tavecchio su Pogba, al presidente dell’Inter Zhang che difende i propri supporters che a loro volta si erano schierati in difesa di quelli cagliaritani, rei di aver massacrato Lukaku, e facendo fare una misera figura alla Serie A nel mondo.

Ed ancora Giampaolo che dopo quel famoso Sampdoria-Napoli sospesa da Gavillucci, minimizzò il tutto con un banale “sfottò”.

Ed ancora Montella, che non sente i cori in Fiorentina-Napoli e Gasperini quelli contro Dalbert.

Insomma chi dovrebbe e potrebbe alzare la voce, invocare rispetto, minacciare scioperi, tace o pecca di omertà.

E allora? Di cosa ancora dobbiamo parlare? Di cosa vogliamo indignarci? Al calcio italiano non interessa risolverlo il problema poiché non lo ritiene un problema, ma un’esagerazione, un upgrade di moralismo, una violenza verso quella zona franca dove niente e nessuno può entrare, e niente e nessuno può modificare.

Gavilucci fu l’unico a provarci e non arbitra più, questo dovrebbe darci la misura della bontà del sistema-calcio italiano.

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