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Ieri sono rimasto deluso dal tono e dalle parole di De Laurentiis

Un’intervista gelida, da professore di matematica. Speravo che riunificasse il tifo, anche incassando una storica vittoria

Ieri sono rimasto deluso dal tono e dalle parole di De Laurentiis
Aurelio De Laurentiis (Ciambelli)

Non vuole farsi amare, e va bene, nessuno di noi si candida a suo amante. Ma non vuole nemmeno passare all’incasso delle sue vittorie. Aurelio De Laurentiis ieri ci ha regalato, via radio, un’intervista gelida, da professore di matematica, uno che presenta i nudi dati e la logica che li regge, disinteressato ai sentimenti di chi ascolta. Gli altri si adeguino o vadano a quel paese.

Disinteressato perfino a prendersi qualche vendetta, che so, avrebbe potuto dire “chi ha tifato Chelsea ora tifi Juventus”. Niente. Certo, per fare politica e cercare consenso, così come per sfottere l’avversario strasconfitto dai fatti, ci vuole passione. Ci vuole partecipazione. E lui proprio non ne ha. Almeno non ne mostra.

Francamente, un uomo antipatico. Ma anche nel senso letterale del termine, avverso alla passione. L’ho difeso – e il Napolista, che non sono io, lo ha difeso – in mille occasioni. Ma quando la stonatura raggiunge livelli da far diventar sordi, allora è troppo.

Tutte le risposte date a Diego De Luca che lo intervistava erano recitate da una voce che si allontanava dal nostro cuore, che spariva nello sfondo dell’apparecchio. Una delusione parola dopo parola. Lo confesso, avevo un’aspettativa, che lui si venisse a prendere i profughi del sarrismo, che riunificasse tutto il tifo sotto il nome del suo Napoli e sotto il nome di Ancelotti. Che dicesse: ora conta il Napoli. Niente, avere aspettative verso costui, che non siano la perfetta conoscenza della sua logica e del suo linguaggio doppio, che contiene sempre un messaggio per un ricevente che non è l’ascoltatore, è destinata ad essere delusa come un gesto d’amore fatto ad un automa.

E così James Rodriguez è un “regalo ad Ancelotti”, un’espressione da sovrano triste e da padrone scontento, come se dicesse: “mi fai spendere un sacco di soldi, ma, occhio, misurerò i risultati delle tue scelte”. Manolas “bizzoso”, quasi bocciato. Che significa: “Giovanotto, qui si lavora, non siamo alla Roma, bada bene a quello che ti dico”. E poi frecciatine di qua e di là. Faticoso, noioso da ascoltare.

E poi il tono, Gesù, che gelo. Io non credo che il grosso di chi lo ascoltava si aspettasse chissà quali elenchi di giocatori in arrivo. Lo conosciamo, nel bene e nel male, e conosciamo i mezzi del Napoli – anche questo non capisce o non tiene in conto, che lui ha vinto, la gente ormai ha capito che non si fa il passo più lungo della gamba, in un certo senso il suo Napoli sta facendo cultura. Ma ci aspettavamo un afflato, la gioia di avere in mano una squadra che non può che crescere. Capisco, i media fanno immaginare ai tifosi le solite formazioni zeppe di follia, e la barra del timone va tenuta salda.  Bisogna, come si direbbe a Napoli, “tenere il carro per la scesa”. Però, santo Iddio.

Poi alla fine uno si ricorda com’è fatto l’uomo e gliele perdona. Tutte, tranne una. Le parole su Albiol. Caro Presidente, è vero, siamo clienti. Ma lei è uno che i clienti li tratta decisamente male, molto male, e i suoi dipendenti migliori li tratta come pezze da piedi. Intollerabile. Umanamente intollerabile

 

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