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Calcio e stato di diritto, cinque rettori per farci ridere dietro

Saittella Index – La presunzione di dare nobiltà scientifica a tesi da tifosi. Napoli si conferma città frivola e dialettale nell’anima

Calcio e stato di diritto, cinque rettori per farci ridere dietro

Saittella a quota 30

Doveva arrivare un giorno difficile. Ed è questo, nel quale dobbiamo – e lo faccio davvero senza quell’ombra di sorriso che accompagna sempre la prosa di questa rubrica – parlare di cose, nell’ordine: gravi, confuse e conflittuali. Pezzo duro da scrivere, visto che dovremo dissociarci e dissentire da persone che non solo stimiamo ma cui siamo affezionati. Ma torniamo all’Index, che peggiora rispetto alla scorsa settimana e si ferma a quota trenta. E perché, che cos’è peggiorato in questa sosta quasi da idillio? Tre cose.

Il mito di Napoli città buona

La prima. Un nome e un cognome: Amil Gassama. Immigrato dalla Guinea, ventotto anni, giocatore in serie D, ovviamente di pelle nera. È stato picchiato in modo feroce, selvaggio, in piena città da un numero spropositato di delinquenti. Non me la sento di aggiungere altro, se non che questo avvenimento ci ricorda il motivo principale di questa rubrica e forse dell’intero Napolista: allontaniamoci dai nostri miti, Napoli se ne liberi come di un bagaglio puzzolente. Uno di questi miti è quello della nostra naturale bontà come popolo. Fra di noi ci sono razzisti feroci e picchiatori per divertimento. No, non siamo buoni. Dentro il nostro ventre c’è violenza e ferocia.

De Laurentiis straparla

Per fortuna il secondo elemento negativo è noioso ma molto meno cruento. È stata una settimana di logorrea presidenziale. Aurelio De Laurentiis è uscito dalla sua mutria abituale per parlare di tutto, dicendo spesso cose fra loro contrastanti. È intervenuto sullo stadio san Paolo, sui campionati e i loro imbrogli, sulla Juventus, sugli arbitri, sul mercato. Quanto è negativo avere una dirigenza bipolare, che passa dal silenzio al fragore e dal consenso con gli Agnelli e i “vasa vasa” in sede europea a un fiume di dichiarazioni dalle quali – saremo scemi noi, può darsi, l’età avanza – non abbiamo capito niente. Resta questa sensazione di frivolezza, di parole sparse al vento senza pensarci o forse pensandoci troppo e intendendo chissà che.

“Stato di diritto e campionato di calcio”

E qui la logica ci porta a parlare del dibattito “Stato di Diritto e Campionato di Calcio” (con riferimento al Var), presentazione napoletana al Suor Orsola del convegno estivo dell’università Vanvitelli, nel quale, si sosteneva non la illiceità di quanto fatto dagli arbitri ma la illegittimità. Passaggio stretto sul piano logico e concettuale, còlto solo dagli addetti ai lavori, passaggio che, una volta proposto al grande pubblico, non poteva non provocare disastri. E infatti ci è riuscito.

NB il demiurgo del convegno, il professor Guido Clemente di San Luca, giorni fa invitava tutti coloro che sono polemici con la sua iniziativa a leggersi il libro. Noi, che non viviamo a Napoli, non lo abbiamo trovato in libreria e lo abbiamo ordinato su Amazon. Ci verrà consegnato fra due mesi (dicesi 2 mesi). Anche su questo punto, una minore ostilità verso gli streaming e i podcast, insomma maggiore familiarità con gli strumenti della rete non avrebbe fatto danno.

Il convegno è stato caratterizzato da due episodi: uno, il giorno prima, è stato l’intervento di Giuseppe Cruciani e di Giampiero Mughini alla Zanzara, sulla radio del Sole 24 ore: dove oltre allo strame fatto dei contenuti reali dell’iniziativa, è volato per due volte un insulto ai partecipanti all’iniziativa (secondo gli autori verso i suoi contenuti): “feccia”.  Una vera e propria bastonatura da parte dello squadrismo mediatico filo juventino, al quale prima o poi bisognerebbe far percorrere i corridoi di un tribunale.

Il secondo fatto saliente è stato l’intervento del giudice Cantone. Il quale ha apparentemente schiantato il convegno e i suoi contenuti e le sue motivazioni ma forse ha dato in radice ragione ai suoi organizzatori: per le regole del calcio serve trasparenza, ha detto, quindi legittimità, ma bisogna togliersi la maglia da tifosi. Cioè la legittimità non può essere intaccata da alcuna influenza. Se l’iniziativa parte da un gruppo di tifosi, non regge, non cammina con i suoi piedi ed è “biased”, come direbbero gli americani: viziato, prevenuto, non obiettivo.

Diciamocela tutta: rettori di cinque università regionali (perfino della Federico II, Dio li perdoni) hanno aderito, così come massimi dirigenti Rai, scrittori di successo, giornalisti. Ma hanno aderito ad una iniziativa concettualmente fragile e alla radice viziata dall’appartenenza di tutti i partecipanti al tifo napoletano. Se si è, come lor signori sono, rappresentanti dell’élite della città, bisogna avere la capacità di comprendere  come funziona oggi la comunicazione: non è un’epoca di sfumature questa, ci vogliono concetti forti e inattaccabili e ben distinguibili dal pubblico. Il tempo dei sofismi è lontano.

Altrimenti non solo ci si espone al contrattacco partigiano ma anche alle obiezioni di buon senso, come quelle di Cantone. Voglio bene a Carlo Alvino che non si offenderà, ma un convegno di rettori e professori non può somigliare, per impostazione, al Porompompero di Radio Kiss Kiss e non può contare sui salotti televisivi locali per fare divulgazione giuridica. Ancora una volta, parla la città frivola, abbandonata a metà strada tra urlo di curva e voglia di contare, e che nel frattempo si accontenta di un presenzialismo autoreferenziale. Di capire i problemi del potere, di fare politica, di lavorare seriamente non se ne parla.

Napoli e il Napoli hanno bisogno – l’avrò scritto fino alla nausea – di iniziative “egemoniche”, che interessino tutti e orientino i mezzi di comunicazione: che siano accolte in Italia come idee che provocano un dibattito qualificato. Quando parliamo noi, non devono sorridere, come accade in più di qualche club o salottino televisivo. Per far questo ci vuole un abbraccio incondizionato con la modernità dei media e della comunicazione, oltre ad un certo svecchiamento delle categoria culturali: il Cardinale Ruffo dovrebbe scomparire dai nostri riferimenti teorici. Bisogna avere la capacità di farsi capire, di non essere dialettali nell’anima. Ancora un mito da abbattere: l’idea che noi siamo speciali e belli, indiani saggi nella nostra riserva. Non è così, abbiamo un gap da recuperare, non date retta ai cantori dell’isola felice dove non ci si ammala di depressione. Che peccato, ci siamo fatti ridere dietro un’altra volta, rettori ed ex rettori compresi.

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