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Ancelotti ha convinto il calcio italiano a combattere i cori razzisti

L’allenatore del Napoli ha un futuro da politico: in quaranta giorni ha fatto cambiare ai vertici del calcio italiano che per anni hanno fatto finta di niente

Ancelotti ha convinto il calcio italiano a combattere i cori razzisti

Ha un futuro politico

Carlo Ancelotti ha un futuro politico davanti a sé. Qualora, un domani (noi speriamo il più tardi possibile), dovesse annoiarsi del proprio lavoro di allenatore, il tecnico di Reggiolo potrà misurarsi con l’arte della diplomazia e del governo. Nel suo curriculum può vantare un successo politico che ha dell’incredibile. In meno di un mese, ha messo all’angolo il calcio italiano e ne ha convinto i dirigenti a scendere in campo in prima persona per far applicare le norme già esistenti in materia di razzismo e discriminazione territoriale. L’alieno ha vinto la sua battaglia. Improvvisamente il calcio italiano ha aperto gli occhi su uno scempio che dura da anni.

Ancelotti ha raggiunto l’obiettivo a modo suo, da politico consumato. Senza mai alzare la voce. Né scadere nel vittimismo. Né tantomeno nel personalizzare la battaglia. Anzi, è stato abile al punto da far passare l’immagine dell’arretratezza dell’Italia rispetto agli standard dell’Europa calcistica. Europa calcistica che lui ha conosciuto da vicino e che lo apprezza e lo ritiene un ambasciatore del gioco del calcio.

Ha cominciato al festival di Trento

Ha cominciato quaranta giorni fa, a metà ottobre, al festival dello sporto organizzato a Trento dalla Gazzetta. Viene invitato per un incontro pubblico con Guardiola e Arrigo Sacchi:

Cosa manca al calcio italiano? Dopo dieci anni lontano dall’Italia, quello che posso dire è che la differenza sta nelle infrastrutture ma soprattutto nella cultura sportiva. In Inghilterra, Francia, Germania e Spagna c’è una rivalità sportiva ma non ci sono insulti. In Italia siamo ancora indietro da questo punto di vista, c’è ignoranza, maleducazione mancanza di rispetto. Guardiola, per esempio, vive in una città divisa da una forte rivalità, eppure nessun tifoso dello United lo insulta.

È il 14 ottobre 2018. Ancelotti sembra destinato all’ennesima battaglia da binario morto. Nonostante il giorno dopo, a riprendere le sue parole sia il ct della Nazionale Roberto Mancini: «Carlo ha ragione, anch’io ho lavorato in Inghilterra e mi sono accorto di come quel paese abbia una cultura sportiva maggiore della nostra. Da questo punto di vista, il calcio italiano deve fare molta strada  in Italia. Non bisogna sottovalutare il problema».

Il mondo del calcio e dello sport risponde con un assordante silenzio. Il diplomatico Ancelotti non perde d’animo, né fa della sua battaglia una bandiera. O comunque non la ostenta. Tiene il suo passo. Senza mai accelerare né alzare la voce.

Il gesto di Mourinho

Fa trascorrere una ventina di giorni e alla prima occasione buona accelera. Lo spunto glielo fornisce José Mourinho e la sua mano portata all’orecchio dopo aver vinto col suo Manchester United in casa della Juventus e soprattutto dopo aver incassato per lunghi tratti del match gli insulti dei tifosi juventini. Mentre il circo mediatico – Gramellini in testa – prova a correre in soccorso della Juventus, Ancelotti in conferenza stampa – portandosi la mano all’orecchio – dichiara:

Penso che ognuno di noi ha una responsabilità, e questo lo dobbiamo tener presente sempre. Però essere insultati per 90 minuti non fa certo piacere. Quindi, l’atteggiamento di Mourinho può essere compreso, è stata una cosa ironica e non ha insultato nessuno. Ci può stare. In Italia si tende a nascondere novanta minuti di insulti, contro un gesto di due secondi. Non è solo una questione di Torino, succede anche a Napoli e a Milano. Basta insulti, contro il Psg abbiamo giocato in un ambiente bellissimo, anche domani ci sarà uno stadio perfetto per giocare a calcio».

“Non è solo una questione di Torino, succede anche a Napoli e a Milano. Basta insulti”. La grande mossa politica. Smarcarsi dalla dinamica territoriale. Quel che Vittorio Zambardino ha spiegato sabato agli organizzatori di un incontro all’Università Suor Orsola Benincasa. E siamo al 9 novembre. Tre giorni dopo, in occasione della premiazione per la panchina d’oro, davanti all’establishment del calcio italiano, rincara la dose:

Se in Italia siamo avanti per le nostre conoscenze strategiche, restiamo indietro per quanto riguarda le strutture, ma soprattutto la cultura sportiva ed l’educazione negli stadi. Ora il calcio è globalizzato, ma paghiamo ancora un gap nei confronti di altre nazioni. Qui si vive ancora il calcio come una battaglia, all’estero è difficile essere insultati, in Inghilterra addirittura impossibile. In Spagna la rivalità è molto forte tra le grandi squadre, ma non c’è mai maleducazione. In Italia possiamo migliorare molto. L’idea è che in caso di insulti si possano sospendere le partite, non solo per la pioggia.

Il primo no della Figc

Dall’altra parte ancora muro. Il neo presidente della Figc Gabriele Gravina risponde così all’allenatore del Napoli:

Condivido l’amarezza di Ancelotti, di tanti italiani e di tanti sportivi, ma dobbiamo stare attenti perché poi corriamo il rischio di diventare prigionieri di quel gruppetto di soggetti che con qualche coro hanno la forza di non far giocare nessuna partita. È un problema di educazione, dobbiamo fare in modo che certe persone si rendano conto della propria maleducazione. Devono stare fuori dal nostro mondo, ma non gli dobbiamo dare forza né renderli credibili. Il fatto che uno, o pochissimi soggetti, determinino la capacità di poter sospendere la gara è un grossissimo rischio che non possiamo correre.

A seguire Ancelotti c’è solo Gianni Mura su Repubblica anche lui sfiduciato per quel che riguarda l’obiettivo finale:

Intervistato lunedì a Coverciano, il tecnico del Napoli ha scavalcato tutti a sinistra, perché il buonismo è di sinistra, gli altri lo usano come bercio, dileggio. Già schierato a favore di Mourinho per i cori di Torino, Ancelotti è andato oltre: in casi del genere (insulti pesanti a un tecnico o a un giocatore) si interrompe la partita, come per i cori razzisti, se si vuole recuperare un clima di civiltà negli stadi. Bello e impossibile (Nannini 7).

Ancelotti alza l’asticella

Arriva il 22 novembre. Ancelotti alza l’asticella della polemica. Lo fa in un’intervista a Radio Kiss Kiss Italia:

Insultare l’avversario non è una cosa buona, e lo dico anche ai tifosi del Napoli. Anzi, gli dico: non sprecate energia a insultare gli avversari, abbiamo bisogno del vostro sostegno. Se nelle prossime dovessimo essere insultati, chiederemmo di far rispettare il regolamento. Interrompere le partite? Il regolamento dice questo, e noi cercheremo di farlo rispettare.

A questo punto il calcio italiano capisce che Ancelotti fa sul serio. E l’immagine di Ancelotti che chiede di fermare una partita per razzismo, è un’immagine che farebbe il giro del mondo in pochissimo tempo. Qualcuno, nei palazzi del potere calcistico, deve averlo capito. E quando in Udinese-Roma si levano i cori contro Napoli da entrambe le curve, all’unisono, seguiti dai soliti apprezzamenti dei tifosi juventini, ecco che evidentemente scatta l’allarme. Lunedì 3 dicembre c’è Atalanta-Napoli. Finire su tutti i giornali del mondo con la foto di Ancelotti e un titolo sul razzismo, non sarebbe proprio un esemplare biglietto da visita.

Da un’ora all’altra, cambia l’atteggiamento dello sport italiano. Dal presidente del Coni Giovanni Malagò (che fino a qualche anno fa diceva: “Chiudendo gli stadi non si risolve il problema. C’è bisogno dell’individuazione chirurgica dei soggetti, non bisogna confondere i 10-15-50 elementi tra la massa, danneggiando anche le società costrette a pagare per la responsabilità oggettiva”) al designatore arbitrale Nicola Rizzoli, fino alla presa di posizione ufficiale del presidente della Figc Gravina.

Come andrà a finire, non possiamo saperlo in anticipo. Di certo Ancelotti ha vinto la sua battaglia. In quaranta giorni. È riuscito laddove tutti avevano fallito. Per anni.

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