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La reazione di Mattino e Repubblica a “Fate presto” spiega il successo del Napolista

Due attacchi al Napolista che danno l’esatta misura dello stato comatoso dei giornali cosiddetti tradizionali. Il nostro successo si spiega anche con la loro mediocrità

La reazione di Mattino e Repubblica a “Fate presto” spiega il successo del Napolista

Abbiamo provato a evitare ai nostri lettori la noia delle polemiche tra giornali. Ma al secondo violento attacco nei confronti del Napolista, non possiamo esimerci. Cercheremo di ampliare la discussione, altrimenti resta davvero una bega da quattro soldi. Il nodo è sempre il titolo “Fate presto” scelto per descrivere la condizione del Napoli. Al fondo di queste righe troverete gli screenshoot dei due attacchi di Repubblica (a firma Marco Azzi) e Il Mattino (il direttore Federico Monga).

Due attacchi che vanno letti perché fanno comprendere lo stato comatoso del giornalismo cosiddetto tradizionale, cartaceo, potremmo dire obsoleto. Con l’aggiunta del provincialismo. In entrambi i casi colpisce l’acredine, l’astio, che ovviamente va al di là della polemica. E lo comprendiamo. È il fastidio per il Napolista che, nelle loro teste ferme al 13 luglio 1789, è un giornale che non sta al suo posto e non rispetta le gerarchie. Per loro, il giornalismo su Internet è ancora figlio di un Dio minore. Rimpiangono i tempi in cui i quotidiani erano il verbo. Non è un caso, per restare sul nostro terreno pallonaro, che siano i due giornali – Il Mattino e Repubblica Napoli – che fino a pochissimi giorni fa ci propinavano la balla del rinnovo di Gattuso praticamente certo. Le cose sono legate. Senza capire quanto il Napolista abbia rotto le uova nel paniere, non si comprende il resto. E in questi tempi, che sono tempi di fallimento gattusiano, allenatore da loro incensato, brucia ancora di più.

È interessante notare che in entrambi i casi non si è entrati nel merito. Azzi su Repubblica è stato costretto a guardare al volo – su Google – le frasi famose di Oscar Wilde, a scoprire che Dorian Gray non è una mezz’ala irlandese del Celtic e, dopo aver scomodato persino Mussolini, ha scritto di indecenza, squallore e forse anche altro. Ci ha tirato le orecchie per non aver chiesto scusa e ha ridotto il tutto alla logica acchiappaclic. Perché per loro, Internet è questo. Noi ci limitiamo ad osservare che sotto il suo sermoncino, su repubblica.it, la homepage consigliava il seguente articolo (?): “Chi ha paura del sangue mestruale? Leandra Medine lo mostra”. Con una domanda che ci angustia: chi è Leandra Medine?

Oggi è il turno di Federico Monga che ha assunto la direzione del Mattino dopo che il suo direttore – Alessandro Barbano – era stato allontanato per motivi politici dall’editore. Ed ecco Monga. Che ci dedica la sua rubrica delle lettere. Se possibile, la risposta del direttore del Mattino è ancor più insulsa di quella di Azzi su Repubblica. Dà al Napolista del giornale parrocchiale (e poi ci dedica la rubrica delle lettere) e scrive che lui non ha mai ripetuto quel titolo per questioni di rispetto. Rispetto per l’originalità e – ovviamente – per le vittime e gli sfollati.

È proprio il primo punto a chiarirci che non ha capito niente di quel titolo. Non ne ha compreso la portata. Ovviamente non sa nulla, se non in forma di nozioni, di Andy Warhol, di Lucio Amelio, di Terrae Motus. Non sa che quel titolo è entrato nel linguaggio comune, è come uno slogan pubblicitario. È, come abbiamo scritto ieri, un’opera d’arte. Dovrebbe essere un vanto per Il Mattino. Quel titolo non appartiene più al fu glorioso quotidiano, è di tutti. E, va da sé, lui quel titolo non lo avrebbe mai partorito. Se solo Ciuni sapesse chi siede oggi sulla sua poltrona, ne morirebbe nuovamente. Ah dimenticavamo: il direttore del Mattino ha dato dell’ignorante al sottoscritto. Sublime.

Ci fermiamo qui. Non vogliamo essere troppo cattivi perché è grazie agli Azzi e ai Monga, grazie alla mediocrità che oggi – pur con lodevoli eccezioni – regna sovrana nelle redazioni, che il Napolista ha potuto e può riscuotere il successo di cui gode. Lunga vita a loro.

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