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Napoli-Verona, il mancato ritorno al San Paolo di Salvatore Esposito

Promesso sposo della Sampdoria, “Ciccio” Esposito finì al Verona dopo uno scontro con il club partenopeo. Il caso ha voluto che non sia mai tornato a Fuorigrotta, da calciatore.

Napoli-Verona, il mancato ritorno al San Paolo di Salvatore Esposito

Rinnovamento

Quando il Napoli decise di fare a meno delle prestazioni di Salvatore Esposito, detto ‘Ciccio’, nell’estate del 1977, la magnifica squadra di Vinicio si era ormai sgretolata. Disintegrata. Sotto i colpi dei cambiamenti tecnici, dal “Lione” a Pesaola, dal “Petisso” a Di Marzio, sotto i colpi di un ringiovanimento voluto all’unisono da società e allenatore, sotto i colpi di un futuro tutto da costruire, sotto i colpi di programmi  ‘triennali’ e non più basati sull’improvvisazione e il grande nome per fare abbonamenti (queste furono le parole della società quando ingaggiò Di Marzio).

Sotto i colpi di un passato recentissimo che purtroppo non tornò più. E non era destinato a farlo. Il tempo avanza  inesorabile, il rinnovamento nel calcio è pane quotidiano, è parola all’ordine del giorno. I cicli finiscono, si è fortunati se ne può ricominciare un altro subito. Se ti va male puoi anche attendere diversi  anni prima di rivedere la tua squadra del cuore ai vertici. E’ successo perfino alle super potenze come Juventus, Inter e Milan, figurarsi al Napoli.

Il Napoli di Vinicio

Il Napoli costruito da Luis Vinicio finì praticamente quell’estate, si volle dare nuovo lustro al manto del Ciuccio col rinnovamento. Dopo le partenze di Clerici per Savoldi nel 1975 e di Braglia per Chiarugi nel 1976, nel 1977 ci fu la grossa migrazione verso altri lidi di alcuni dei pilastri di quella favolosa squadra. Mezza compagine sparì dalla amorevole vista dei tifosi azzurri. Carmignani e Orlandini andarono alla Fiorentina, Burgnich lasciò il calcio giocato per intraprendere la carriera di allenatore, Vavassori tornò nerazzurro all’Atalanta, Montefusco appese le scarpette al chiodo e andò ad allenare il Nuovo Posillipo, Esposito fu ceduto alla Sampdoria.

Rimasero, da titolari, i soli ‘totem’ Bruscolotti, a formare una difesa tutta nuova (con Ferrario, Stanzione  e Catellani), Juliano, circondato a centrocampo da una serie di giovani di belle speranze (Pin, Restelli e Mocellin) e Massa, un po’ tornante e un po’ punta. Un giocatore  fondamentale nel “wunder team” all’olandese di Vinicio come La Palma, impiegabile in tutti i ruoli della difesa, rimase ai margini e collezionò solo 17 presenze. Nevio Favaro, eterno secondo, l’altro ‘reduce’, disputò solo due gare.

 

L’intoppo delle visite

Quello che accadde a Salvatore Esposito, 128 presenze e 6 reti in 5 anni a Napoli, 70 anni compiuti il 3 gennaio di quest’anno, va comunque raccontato. Il distacco dalla sua terra, Torre Annunziata patria gli fu, dalla squadra dove era stato dominatore e ragionatore del centrocampo, non fu proprio dolce, anzi. La faccenda coinvolse anche la disciplinare con qualche titolone sui giornali. Giorgio Vitali, il nuovo general manager del Napoli, venne contattato dalla Sampdoria che, fiutando l’aria di smembramento che tirava dalle parti del Vesuvio, chiese ‘Ciccio’ Esposito a Ferlaino. Un giocatore di soli 29 anni, nel pieno della sua maturità calcistica ma evidentemente non più in linea con il rigenerazione voluta dalla società e dal nuovo tecnico. Fulvio Bernardini, all’epoca d.g. della Samp, gli fece firmare il contratto e lo aggregò alla squadra in partenza per il ritiro.

Da un giornale del 1975

Il crac arrivò con le visite mediche. La società blucerchiata, proprio attraverso l’ex C. T. della Nazionale, rifiutò il trasferimento accampando una accusa molto grave: “Il giocatore è rotto!”. Da quelle dichiarazioni in poi si susseguirono una ridda di voci sullo stato di salute della mezzala partenopea, chi diceva che qualcosa non funzionava ai polmoni e ai bronchi, chi che le gambe dell’atleta non fossero integre. Una telenovela, un carico e scarico di accuse tra le due società. Il Napoli non riprese più il giocatore, fu la Samp a trovare un accordo con il Verona e da lì a poco lo spedì come un pacco postale nella città di Giulietta.

Fu questa soluzione, probabilmente, a ferire di più il giocatore che, non dimentichiamolo, era stato anche in Nazionale, guarda caso proprio con Bernardini. Esposito sbotta, fa polemica, non si sente tutelato, è in mezzo ad una tempesta. Umiliato, ‘Ciccio’ rilascia corrosive dichiarazioni sulla società napoletana mentre Magnacca, dirigente federale, deferisce Ferlaino accusandolo di ‘smerciare bidoni’. Poi tutto, come nel costume italico, finisce in una clamorosa bolla di sapone.

L’assenza di Esposito

Un astio, per come si era chiusa la storia col Napoli, che credevamo non fosse mai finito. Invece, proprio nel libro che Franco Esposito e Marcello Altamura dedicarono agli azzurri di Vinicio, “Dodici leoni”, avemmo modo di leggere dichiarazioni finalmente distensive e pacifiche dell’ex play maker degli azzurri. Parole improntate alla serenità, ai bei tempi di quando la squadra usciva per andare in giro per la città, dei metodi di allenamento del ‘Lione’, al calore che solo il pubblico di Fuorigrotta può dare, all’orgoglio di indossare, da napoletano, la maglia azzurra. E, udite udite, perfino su Ferlaino : «Prometteva e pagava sempre quello che avevamo stabilito, mai un ritardo».

Nel campionato 1977-78, quando il Verona gioca al San Paolo, l’ex partenopeo non scende nemmeno in campo. Chissà dove era a sbollire i suoi rancori quel giorno, il nostro Salvatore, detto anche ‘il professore’ per il modo compito ed elegante con cui trattava il pallone e dettava i tempi in campo. Savoldi, Juliano e Mocellin asfaltano la squadra di Valcareggi in una delle partite più belle dell’era Di Marzio. Il destino, quello di non calpestare il pitch del San Paolo, è ancora una volta beffardo con Esposto anche l’anno dopo. Il 7 gennaio del 1979 il Napoli e la Lazio pareggiano per 1 a 1 al San Paolo ma per i mortaretti esplosi nei pressi della scaletta che portava negli spogliatoi, che colpirono Pighin e Manfredonia, il giudice sportivo assegnò il 2 a 0 a tavolino alla Lazio decretando la squalifica del campo.

A Pescara

La successiva gara interna, quindi, il Napoli la giocò sul campo neutro di Pescara, proprio contro il Verona. Cielo coperto, freddo, terreno scivoloso, neve ai bordi del campo. Sugli spalti solo diecimila anime. Vinicio, ritornato sulla panchina azzurra, schiera tre punte, Capone, Savoldi e Claudio Pellegrini con la ’10’, vuole vincere la partita. Stavolta Esposito è in campo e fa un ottimo filtro coadiuvato da Guidolin ma gli azzurri, dopo diversi tentativi andati a vuoto, riescono a passare solo su rigore con Savoldi al ’28 della ripresa. Oggi si direbbe ‘partita sporca vinta’, all’epoca si diceva semplicemente ‘siamo riusciti a rompere le barricate e a conquistare i due punti’.

Esposito in maglia gialloblu durante Napoli-Verona, stagione 1978/79

Verona per Ciccio Esposito fu la medaglia di bronzo della sua carriera. Sul podio più alto c’è sicuramente il Napoli. Seguito a ruota, con la medaglia d’argento, dalla Fiorentina con la quale aveva vinto lo scudetto 1968-69 sotto la guida di Pesaola. Dopo queste tre società il metodico e tecnico centrocampista dai piedi buoni si accasò al Fano in C chiamato da Mascalaito. Poi a Siena e infine ad Empoli dove chiuse la carriera a 36 anni. Da allenatore non ha avuto al fortuna che avrebbe meritato, o semplicemente non è salito sul treno giusto nella stazione giusta. Perciò tanta serie C ancora tra Campania, Toscana, Puglia, Marche e Calabria – ma senza particolari picchi.

Il destino aveva scritto che non doveva più tornare al San Paolo dove, ne siamo certi, la curva gli avrebbe tributato il giusto encomio per quanto fatto in quei cinque anni. Infatti, Salvatore Esposito sta ancora aspettando un mazzo di fiori. Quello che andava fatto di diritto ad ogni ex a cui si è voluto bene.

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