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Mazzara, fumettista e regista di corti: «Da bambino cambiavo la realtà, ne ho fatto un lavoro»

Intervista col fumettista sceneggiatore regista di due corti presenti al Napoli Film Festival: “La barba” e “Da morire”: «

Mazzara, fumettista e regista di corti: «Da bambino cambiavo la realtà, ne ho fatto un lavoro»

Ha iniziato con i fumetti e le favole

Dalla favola alla commedia nera. Dalle sceneggiature di fumetti al cinema. Alfredo Mazzara è genio e ironia. Una risata e un graffio sull’anima. La sua passione per la regia risale all’infanzia, quando da bambino «la realtà non mi piaceva – ci confida –  e naturalmente la cambiavo. Allora lo facevo senza capire che quello era anche un lavoro. E tutti mi prendevano in giro». Non a caso, forse, il suo film preferito è “La danza della realtà”, in cui Alejandro Jodorowsky, figlio di emigranti ebrei ucraini esiliati in Cile, riscrive la propria infanzia, in una sorta di biografia immaginaria e catartica.

Ha iniziato scrivendo sceneggiature per fumetti e favole per bambini. Insegna tecniche narrative. Tra Napoli e Roma, in tre scuole di cinema, forma nuovi sceneggiatori.

In questi giorni è in concorso alla XIX Edizione del Napoli Film Festival (fino al 1° ottobre), nella sezione Schermo Napoli, con due cortometraggi. Da morire”, commedia spiritosa (come recita la locandina), che ha già vinto il Pegaso Respect International Film Festival, e che vede un inedito Maurizio Casagrande nei panni di un uomo rimasto incastrato tra la vita e la morte. E c’è “La barba”, una storia di ordinario bullismo familiare, dai risvolti tutt’altro che ordinari, con Mariano Rigillo, Ernesto Mahieux, Enrico Ottaviano, che ha già a suo attivo sei riconoscimenti, tra i quali il premio come Miglior Cortometraggio della Selezione Focus della VII edizione del Social World Film Festival di Vico Equense. Bruno Marinucci e Emiliano Barbieri firmano le musiche di entrambi i corti.

Lei nasce come sceneggiatore. Poi diventa regista. Perché questa trasformazione?

«Nasco come sceneggiatore di fumetti, ci tengo a precisarlo. Lo sceneggiatore di fumetti è anche un regista. Forse non è noto a tutti che il linguaggio del fumetto presuppone che lo sceneggiatore scriva non solo il dialogo, ma decida anche l’inquadratura. I due ruoli, almeno in Italia, si sovrappongono. Perciò sarebbe più esatto dire che la mia vera origine è anfibia».

Quindi non ha cambiato mestiere…

«Il passaggio all’audiovisivo è stato addirittura facile, perché il fumetto è una prova di fuoco, è molto più rigido di un film. In realtà, il regista implica altre dinamiche, che vanno affrontate, come il rapporto con le produzioni».

Ha esordito anche come scrittore di favole per bambini…

«Il bisogno era di raccontare. Così mi sono buttato sul primo medium disponibile. In altre parole, per ragioni economiche, era più facile fare un libro di favole che fare un film.  Ma non ho mica smesso. Ora ne sto facendo un altro. Un libro di favole con una giovane disegnatrice che mi ha colpito molto per il tuo stile».

Cosa c’è del fumetto e della favola nell’Alfredo Mazzara regista?

«Il fumetto ti impone la rigidità di girare la pagina, quindi ad ogni pagina dispari deve succedere necessariamente qualcosa che spinga il lettore a girare pagina, appunto.  Il pubblico del fumetto deve essere attivato costantemente.  Ecco, questo ragionare per pagine, questo aspetto del fumetto mi ha sicuramente influenzato. Nei miei lavori c’è l’attenzione alla pagina, che tradotto in termini cinematografici vuol dire attenzione al punto di svolta, alla progressione drammaturgica».

Si può parlare anche di effetto sorpresa?

«Sì, più che altro nel tema intorno al quale ruota il racconto. E cerco di dare sempre un tema attuale. Ne La Barba il tema è il bullismo familiare. Le vessazioni che i parenti ti fanno, quelle violenze psicologiche bieche e meschine alle quali il protagonista reagisce con il riscatto. La confezione è della commedia nera, un genere che si presta meno ad essere confezione per temi sociali, ma più per temi psicologici. Tuttavia, qui si parla di famiglia e la famiglia è la base di tutti i problemi sociali. Tutto ha origine nella famiglia. Senza amore scegli un marito o una moglie sbagliati. I femminicidi, come la dipendenza dalla droga, hanno origine nella famiglia».

«Con La barba non a caso ho vinto un Social World International Film Festival di Vico Equense, la cui peculiarità è il tema sociale. Il mio cortometraggio ha avuto attenzione al di là del genere e del tema. A Venezia è stato chiamato al concorso “I love G.A.I. (Giovani Autori Italiani)”, che è stato vinto da “Penalty” di Aldo Iuliano  per “l’originalità con cui viene trattato un tema di drammatica attualità”».

Al Napoli Film Festival sei anche con il corto “Da morire”. Nella locandina c’è scritto “commedia spiritosa”, ma ho il sospetto che non si tratti di una ridondanza…

«Infatti. Spiritosa, perché ha a che fare con i fantasmi. Immagina: torni a casa e scopri tua moglie a letto con un altro per poi realizzare che quell’altro sei tu. Hai avuto un infarto durante un gioco erotico con tua moglie e sei a metà tra la vita e la morte.  “Da morire” è una metafora dei rapporti che viviamo con le persone senza anima. Relazioni vissute senz’anima. E il protagonista, infatti, per tornare in vita, dovrà ricongiungersi al corpo».

Il regista Alfredo Mazzara

Progetti per il futuro?

«Stiamo lavorando per fare di questi due cortometraggi due lunghi».

Insomma, i corti per lei sono un test?

«Sì, lo ammetto spudoratamente. Testare uno stile, fare una prova di pubblico, mettersi in gioco con un corto comporta un rischio minore. Ma serve anche a rompere un po’ il muro con i produttori italiani, dandogli un assaggio, soprattutto se fai trame complicate, strane».

In questi giorni prova i corti al Napoli Film Festival…

«Vedrò per la prima volta i napoletani cosa ne pensano. Abbiamo girato Italia e Europa. Ho vinto dei premi in Venezuela, siamo andati in Grecia, Indonesia e saremo in Russia ad un concorso. Vediamo adesso se le mie battute napoletane fanno ridere anche i napoletani. Un po’ come vendere ghiaccio agli eschimesi».

Come ha iniziato e soprattutto perché? Qualcuno ti ha spinto verso la questa strada, qualcosa ti ha ispirato?

«Da bambino ero molto triste, la realtà non mi piaceva e naturalmente la cambiavo. Lo facevo senza capire che quello era anche un lavoro. Tutti mi prendevano in giro. Poi ad un certo punto ho capito che ci potevo fare soldi e ci sono caduto. Quello dello sceneggiatore o del regista non è un lavoro che scegli di fare. È una passione, è come innamorarsi, come dicono gli anglosassoni “fall in love”, cadi e basta, non puoi farti domande».

Ha iniziato con le favole, ma anche prima c’era un bambino, una favola….

«Se fosse una favola, sarebbe comunque nera».

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