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Rudiger e il razzismo che coinvolge anche il Chelsea

Siamo il paese di Opti Pobbà, e anche della gaffe di Arrigo Sacchi. Giusta la denuncia di Rudiger, eppure anche i tifosi Blues non sono immacolati

Rudiger e il razzismo che coinvolge anche il Chelsea

No to racism

Antonio Rudiger appena trasferitosi da Roma a Londra, sponda Chelsea, ha affidato al Telegraph tutto il suo disappunto riguardo il lassismo italiano sulla lotta al razzismo. Abbiamo proprio oggi riportato le sue amare parole.
Ancora fresco il ricordo degli ululati dell’Olimpico di fede laziale conditi dalle parole a fine match di Lulic, simbolo dei biancocelesti. Il suo «Già parlava prima della partita, due anni fa a Stoccarda vendeva calzini e cinture e adesso fa il fenomeno» costò al bosniaco la ridicola sanzione, patteggiata, di 20 giorni di stop scontati perdipiù durante la sosta di fine anno.

Razzismo senza confini

Eppure proprio il suo nuovo club ha dovuto fronteggiare in passato gli stessi disgustosi episodi. Nel febbraio 2015, alla vigilia degli ottavi di Champions fra Psg e Chelsea, un gruppo di tifosi inglesi al seguito della squadra in Francia si resero protagonisti di quest’episodio nella metro di Parigi.

All’apertura delle porte, ad un uomo di pelle nera fu impedito di salire sul vagone. All’interno i supporters dei blues accompagnarono il gesto razzista – evidenziandolo – con il coro “We’re racist, we’re racist and that’s the way we like it” (“Siamo razzisti, siamo razzisti, e ci va bene così”). Ne seguì lo sdegno del club che stigmatizzò subito l’accaduto comunicando appoggio per ogni azione legale contro le persone coinvolte e minacciando sanzioni più dure, compresa l’esclusione da Stamford Bridge.
Insulti razzisti avevano coinvolto già la leggenda del Chelsea, lo storico capitano John Terry. Nel 2012 fu squalificato dalla Football Association per le offese rivolte ad Anton Ferdinand, fratello di Rio. L’episodio gli costò prima la fascia da capitano della nazionale dei Tre Leoni, sino a spingerlo ad annunciarne l’addio.

Sacchi, Eranio e lo ius soli

Appena poche ore prima, Arrigo Sacchi era finito al centro delle polemiche. Analizzando le difficoltà del calcio italiano puntò il dito contro i «Troppi giocatori di colore, anche nelle squadre Primavera». Giudizi espressi dopo la vittoria dell’Inter al Viareggio 2015 con gol del ghanese Gyamfi, oggi al Benevento.

Stefano Eranio, invece, pochi mesi dopo fu silurato dal canale svizzero Rsi – per cui lavorava nelle vesti di opinionista – a causa di una frase razzista. Protagonista suo malgrado ancora Rudiger. Dopo la partita di Champions fra Bayer e Roma così commentò la prestazione del tedesco: «I calciatori di colore quando sono nella linea difensiva spesso certi errori li fanno, perché non sono concentrati. […] Sono potenti fisicamente però purtroppo quando c’è da pensare… spesso fanno questi errori».

Il razzismo è un tema ancora sin troppo attuale nel mondo del pallone. Il caso-Eranio è sintomatico di quanto le discriminazioni vengano alimentate – anche inconsciamente – da cliché che avrebbero il solo intento di semplificare di default ogni discorso tecnico, di campo. Viceversa innestano cattive consuetudini poi difficili da estirpare. Anche il linguaggio intorno al calcio andrebbe rivisto: rappresenterebbe un piccolo-grande passo verso il nuovo millennio. Che sono già trascorsi 17 anni.

E ci siamo risparmiati inutili lungaggini. Optì Pobbà e dintorni.

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