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Sinisa Mihajlovic: sergente di ferro tra carattere e nazionalismo

Sinisa Muhajlovic, allenatore del Torino tra la guerra in Serbia, le amicizie scomode mai rinnegate e un sinistro micidiale.

Sinisa Mihajlovic: sergente di ferro tra carattere e nazionalismo

Il soldato

La guerra è uno stato d’animo. Vivere un’esperienza del genere tempra il carattere e disegna i tratti interiori che determinano l’aspetto mentale. Puoi riuscire a scappare ma questo non servirà ad evitare l’influenza cronica che ti accompagnerà per tutta la vita. Quando cominciarono i bombardamenti della Nato sulla Jugoslavia era il 24 marzo 1999 e Sinisa Mihajlovic era in ritiro con la nazionale slava al confine con l’Ungheria.

L’ex centrocampista – poi difensore – di Vojvodina, Stella Rossa, Roma, Sampdoria, Lazio e Inter, non ha combattuto personalmente il conflitto che ha colpito la sua terra ma non è mai uscito dai confini della tensione nazionalistica balcanica: «Ha usato e abusato del suo ruolo sportivo per esaltare le sue opinioni e poiché i suoi idoli erano Arkan e le tigri serbiste e le loro imprese criminali, mi sembra difficile che ideali simili non influiscano sul modo di considerare l’agonismo sportivo». Questo il rimprovero di Adriano Sofri in un articolo.

Specialista su punizione

Niente dribbling, nessuna giocata funambolica e nemmeno inarrestabili cavalcate sulla fascia. Le sue specialità in campo erano le punizioni, concepite non nel senso artistico ma crudo del termine. Punizione, pena, castigo: quelle di Mihajlovic sembravano fucilazioni al contrario, dove c’era un solo uomo al platone di esecuzione pronto a far fuoco e cinque/sei più il portiere come condannati. Primo palo, secondo palo o sopra la barriera, poca importa. Il segreto è colpire forte: «Devi colpire con la massima decisione, molto forte e tagliare la palla, imprimere una traiettoria. Non voglio esagerare: ma il pallone va pilotato con il tuo collo del piede».

Attualmente nella classifica marcatori su calcio piazzato in Serie A è primo, insieme ad Andrea Pirlo, con 28 reti. Questo per quanto riguardo l’Italia perchè se si considerano anche quelle realizzate con Vojvodina e Stella Rossa, la situazione cambia: «Andrea è bravissimo, ma se contiamo anche quelle segnate in Jugoslavia, deve rinascere per superarmi».

Sergente di ferro

Anche se ha smesso di giocare da qualche tempo, Sinisa Mihajlovic tiene molto alla forma fisica. Indossa abiti di alta sartoria napoletana come fossero divise da ufficiale. La stampa l’ha soprannominato subito sergente per le regole ferree e la disciplina che impone alle sue squadre. Nello spogliatoio comanda lui: se uno merita e lavora, se suda e soffre, gioca. Nessun favoritismo, il talento non basta: «Nel lavoro è vero, sono esigente, talvolta inflessibile, perché ho provato sulla mia pelle l’importanza della disciplina. (…) Il talento senza regole é inutile. Se non le hai, nel calcio e nella vita non vai da nessuna parte».

Da giovane – ha detto in un intervista – divideva il mondo in ‘noi’ e gli ‘altri’ alla ricerca perenne di un nemico. Adesso non ne ha più bisogno: «Oggi non ho bisogno di nemici. (…) non vivo più per esclusione ma per accumulo di esperienze. Non rinnego nulla di ciò che ho vissuto, ma mi piace scoprire anche tutto ciò che non conosco».

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