Quattro partite ci dicono che ogni club costruisce il proprio modello vincente in base alle proprie dimensioni: il Napoli, pur lontano dall’élite europea, è sulla stessa strada.
Il Napoli
Cominciamo togliendoci subito il dente: il Napoli avrebbe potuto giocarsi i quarti di finale di questa Champions? La risposta è sì, ma non del tutto. Nel senso: la squadra di Sarri non avrebbe usurpato il posto del Leicester, ma sarebbe stata la cenerentola rispetto agli altri sette club. La domanda, in realtà, è postulata male. Questi sono giochini che hanno senso in riferimento a un round robin, a una competizione che fa venir fuori i valori totali, non per un torneo ad eliminazione diretta che può metterti contro il Real Madrid.
Volendo fare un power ranking veloce degli organici ancora in lizza, la sensazione è che il Napoli sarebbe stato inferiore (parliamo sulla carta, ovviamente) a tutte le squadre che non siano i campioni d’Inghilterra. Le grandi Barcellona, Bayern e Real Madrid, l’Atletico e le “giovani” Borussia Dortmund e Monaco. E la Juventus, ovviamente. Diverso è il discorso di campo, sul “potersela giocare”. Su quello apriremo il vero dibattito, anche parlando di quelle che sono le indicazioni che arrivano da questa due giorni di partite.
Vincono i campioni (in sistemi che funzionano)
Ci sono tre ipoteche su quattro per le semifinali. Paradossalmente, proprio il match che coinvolge il club “meno attrezzato” del lotto è quello in realtà ancora aperto. Juventus, Real Madrid e Monaco hanno quasi eliminato Barcellona, Bayern Monaco e Borussia Dortmund, l’Atletico dovrà giocarsi una partita di sudore e sangue a Leicester. Una prima analisi, superficiale, su questi risultati, ci dice che a fare la differenza sono due cose fondamentali: la forza dei calciatori in campo e la capacità di inscatolare il talento in un contesto tattico funzionante. Anzi, funzionale. Che è un’altra cosa.
Non è più importante una cosa rispetto all’altra, e basta guardare Juve-Barcellona per rendersene conto. Da una parte Messi, Neymar e Suarez, eppure una Juventus ordinata e intelligente ha vinto 3-0. Il sistema di Allegri, pur contando su (grandi) calciatori meno forti rispetto a quelli di Luis Enrique, ha avuto ragione. Rispetto a una squadra schierata senza una parvenza di senso compiuto.
Bayern-Real Madrid, invece, parla dell’altro lato della medaglia. A parità di “organizzazioni coerenti”, sono i grandi calciatori a fare la differenza. Il rendimento momentaneo e il talento, fanno la differenza. Vidal che segna ma poi sbuccia per due volte la rete del 2-0; Ronaldo che due volte su due fa secco Neuer. E un centrocampo decisamente appannaggio di Zidane, per qualità del singolo. Eccola qui, la vittoria dell’Allianz Arena.
Non è un esercizio realmente utile confrontare due partite diverse. Quattro, mettendoci dentro anche quelle del Calderon e del Westfalen Stadion (gli altri due match di Champions). Però si possono leggere quelle che sono le linee guida che il calcio europeo sta tracciando, i modelli di riferimento.
Il senso di una Champions
Ebbene, la sensazione è in antitesi con questo postulato di partenza: non esiste più un modello di riferimento vincente. Dal punto di vista tattico come progettuale. Ognuno è padrone del proprio destino, non ci sono indicazioni comuni. Se il Barcellona di Guardiola, ad esempio, seppe dare input condivisi al calcio europeo, divisi per punti e riconoscibili (il gioco posizionale, l’integrazione tra sfruttamento del vivaio e la valorizzazione dei grandi nomi del mercato), oggi la tendenza varia per dimensioni. I top club investono sui migliori giocatori possibili e li fanno giocare in base alle linee guida del proprio organico: la difesa posizionale della Juventus e il gioco di palleggio del Real, oppure del Bayern Monaco (che ha perso, ma resta comunque un benchmark del calcio europeo). Il termine funzionale che abbiamo utilizzato prima.
Poi ci sono i progetti intermedi, quelli che mixano un lavoro di mercato orientato alla valorizzazione dei giovani e un adattamento di questa policy alle esigenze tecniche, in un crossover di idee e significati. L’Atletico si rinnova di anno in anno ma resta fedele ai principi di applicazione tattica del suo allenatore; Monaco e Borussia Dortmund acquistano e vendono giovani (e fortissimi) calciatori e intanto perseguono una certa identità tattica, fatta di spettacolo e sfrontatezza. Non molto diversamente dal Tottenham, ad esempio, che però è andato fuori ai gironi. Come dire: esattamente come il Napoli, la squadra di Pochettino avrebbe alzato il valore di questa Champions prendendosi il posto del Leicester. Sarebbe stata accanto, anche se qualche metro indietro, ai progetti di Tuchel e Jardim. Lo stesso campo da gioco, dal punto di vista del management sportivo e dell’espressione calcistica.
Come reagire a questa Champions
Se i migliori otto club d’Europa segnano la strada in base alle loro dimensioni, il Napoli non ha molto di cui rimproverare a sé stesso. L’abbiamo scritto tante volte, lo rifacciamo. Pur con una certa distanza da Borussia Dortmund e Monaco (distanza soprattutto di strutture e sovrastrutture, edilizie e non), il progetto tecnico del club partenopeo rientra nella stessa categoria. Un’identità tattica di base su cui innestare calciatori di grande potenzialità. Pezzo per pezzo, operazione dopo operazione. Un upgrade lento ma sostanziale, verificato.
Pure caratterizzato da possibili ribaltoni, perché no. Se Napoli si lamenta (preventivamente) di Mertens che potrebbe andar via, pensiamo ai tifosi del Monaco. Che hanno perso la prima finale stagionale (Coupe de la Ligue), non vincono un trofeo dal 2003 e oggi sono in lotta per la Ligue 1 e giocheranno le semifinali di Champions. Giocano pure quel “bel calcio” che ci è familiare. Nonostante tutto questo, Mbappé, Lemar, Bakayoko, Fabinho e Mendy (nomi a caso, ci sarebbe anche Bernardo Silva) sono destinati ad andare via. Domani, al massimo dopodomani. È un destino già scritto. Un passaggio ineluttabile. Funziona così. Perché il Monaco resta il Monaco. Il Borussia resta il Borussia (stessa storia, più o meno). E il Manchester United resta il Manchester United. Anche se quest’anno non gioca la Champions, esattamente come il Chelsea.
La segnalazione che arriva dall’Europa, per il Napoli come per qualsiasi altra squadra aspirante a fare bene, è facilmente riconoscibile: insistere. In un progetto, in un’idea, nella forza di progetti e idee. Si parte da qui, si possono fare cose belle (la Champions del Napoli), cose bellissime (quella del Borussia Dortmund) o meravigliose (quella del Monaco). Il risultato è un caso, la prestazione no. In campo, ma anche fuori.