Il Napoli ha bisogno di un Caronte traghettatore orbo che tagli la testa al toro quando serve, in una città di occhi languidi.
Il falò delle nostre illusioni
In una notte si consuma il falò delle nostre illusioni. Sono cadute quelle di tanti, era questione di tempo e anche la nostra avrebbe ceduto. Non diamo mai l’idea di giocare contro il solo avversario del giorno, o la semplice idea di sconfitta. Noi giochiamo sempre contro fantasmi che richiamano altri fantasmi. Quando siamo lontani dalla meta ci infiammiamo come lame di coltello incandescenti, poi chiamiamo il rompete le righe non appena il traguardo ci si avvicina pericolosamente.
La Juventus ci sopravanza
Usciamo dalla coppa per molti motivi figli di due genitori illustri. Il padre è il Campo, sul quale la Juventus ci sopravanza quasi in ogni settore, conquistandolo centimetro dopo centimetro. La madre è lei, la Grande Illusione, quella che piantiamo e coltiviamo giorno per giorno dentro e fuori di noi. Sono gli arbitri malevoli amici dei più forti che ci sbarrano la strada, o i gol che valgono doppio se sono finalizzazioni di lunghissime azioni corali che diventano meme sui social, o le sconfitte mutate in vittorie grazie a complessi coefficienti ed indicatori di gioco.
Il totem dell’imbattibilità dei bianconeri
Il Napoli c’è. Soffre. Ma ha un magone perenne. Dovrebbe lasciar spazio ad un certo odio in corpo, farlo maturare, render chiaro che mai più si restituiranno palloni gettati proditoriamente in fallo laterale. A volte si vede un lampo, la seconda frazione ci ribalta, ma non sufficientemente a lungo. Giocare un tempo su quattro contro il Real ci procurò molte legittime attenuanti, ma la Juventus è cosa diversa. L’imbattibilità dei bianconeri vale quanto il tema del conflitto di interessi nella politica italiana: è il totem che si fa in modo nessuno sfiori affinché chiunque possa usarlo a mo’ di scudo quando conviene.
È come la carità di San Paolo – non a caso il santo a noi caro – quella che “tutto copre”. Così è la nostra caritatevole illusione, e per lei ancora oggi giochiamo, per ammantarcene, per trovare un giusto riparo. Per questo, tutto considerato, di Robertino Gonzalo ce ne innamorammo – e cosa è il tweet nel postpartita del fratellino Nicola se non il sospiro di sollievo di chi si sente finalmente protetto da una spada di fuoco (che Mario Brega ci assista)?
Cosa serve al Napoli
Il Napoli c’è. Ma deve scacciare da sé questi demoni. Ha bisogno di un Caronte traghettatore orbo che tagli la testa al toro quando serve, in una città di occhi languidi. In un luogo dove ancora si addossa la responsabilità ai Savoia per la disoccupazione giovanile del duemiladiciassette. Un traghettatore che ci indichi qualche scomoda verità e squarci il velo del tempio, mostri il museo delle nostre care inadeguatezze – un capitano che adoriamo ma non tiene, un portiere carismatico che ci assomiglia ma non è sufficiente, un Bonucci in squadra che non esiste. Uno che ci mostri l’ovvio sotto i nostri occhi, ossia che la realtà va sempre punto e capo.
Insomma il Napoli c’è. È una buona notizia. Oggi finalmente possiamo lamentarci di noi stessi dopo aver vinto. Ma intendiamoci sulla strada da percorrere. Giocare e non chiacchierare. Quanto siamo ancora non è sufficiente.