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Tifare Atletico Madrid perché è dal Porto di Mourinho che una outsider non alza la Champions

C’è un diffuso sentimento di indecisione sulla squadra per cui fare il tifo domani sera, nella finale di Champions League. Da una parte, la favola e il calcio speculativo dell’Atletico Madrid; dall’altra, una squadra che ha sempre vinto e che quindi, per una volta, sarebbe forse pure giusto, quasi per principio, lasciasse spazio ai suoi cugini più poveri. Però, con Cristiano Ronaldo, Bale, Modric. Zidane in panchina. C’è gente affascinante. Insomma, non è facile.

Però, c’è da pendere più verso l’Atletico che non ha mai vinto la Coppa dalle grandi orecchie e l’ha persa due volte nei minuti di recupero. Anche una questione di giustizia, quindi, dopo la Champions scippata due anni fa da Ancelotti a Sergio Ramos quando sembrava già nella bacheca del Calderon e in mano a quel vecchio volpone di Simeone. Ma anche una questione da anniversario: ieri, infatti, era il 26 maggio. Dodici anni esatti dall’ultima vittoria wild in una finale di Champions League.

La traduzione letterale di “wild” sarebbe selvaggio. Definire “selvaggia” quella vittoria di quel Porto, una squadra povera di stelle ma piena di ottimi giocatori, sarebbe quantomeno ingeneroso. Nei confronti di quanto fatto quell’anno dai calciatori lusitani e soprattutto da Mourinho, specialista assoluto delle vittorie inattese nella massima competizione continentale per club. La stessa Inter del Triplete, nonostante uno squadrone universalmente riconosciuto, non era proprio considerata tra le grandi favorite della coppa. “Wild”, in questo caso, sarebbe più correttamente traducibile con “strana”. “Fuori”, se volessimo usare un ex termine dello slang giovanile che ormai tanto giovanile non è più. Fuori nel senso di diversa rispetto ai soliti noti, a quelli che vincono sempre o che comunque ci arrivano vicini. Basti pensare che, in quella stranissima stagione, la finale di Gelsenkirchen (altro stadio wild) si giocò tra il Porto, appunto, e il Monaco di Deschamps. 



Sì, quella del 2004 è decisamente l’ultima Champions wild. Anche perché, dopo, pure quelle che consideriamo favole hanno cominciato ad avere contorni nettamente meno favolistici. Il Chelsea del 2012, campione d’Europa per la prima volta (qui a Napoli lo ricordiamo bene, ahinoi), resta comunque una squadra ricchissima. Come l’Arsenal del 2006, pre-Emirates, ultimo club prima del Chelsea a disputare una finale per la prima volta (era il 2006). Basta scorrere l’elenco delle finaliste per capire di cosa parliamo: 3 italiane (Milan, Inter e Juventus), 4 inglesi (Liverpool, Arsenal, Manchester United, Chelsea), 3 spagnole (Real, Atletico e Barça) e due tedesche (Bayern e Borussia Dortmund). Insomma, i soliti noti. Sempre i soliti noti, dalle stesse nazioni. Tutta gente che ha già vinto, o quasi. Ma che comunque, per blasone e storia e fatturato, è lì da sempre. Meritatamente eh, ci mancherebbe. Però, son sempre loro. In questo modo, ti viene facile tifare per il Porto della situazione. O per il Borussia Dortmund del 2013, quello del miracolo-Klopp.

Oppure, appunto, per l’Atletico di Simeone. Che, al di là dei gusti estetici sul suo modo di proporre e interpretare calcio (Sarri docet), e del fatto che sia comunque un club spangolo (accontentiamoci), rappresenterebbe e comunque già rappresenta una ventata di novità ad alto livello. Soprattutto per quanto concerne la gestione societaria, pur con tutte le ombre del caso relative ai rapporti poco chiari con il fondo Doyen (il Napolista ne ha scritto qui). Colchoneros rinfrescherebbero l’albo d’oro, darebbero a tutti, o almeno a qualcuno in più, la speranza di potercela fare ancora. Una roba che non avviene più dal 2004, il Porto di Mourinho, ma che prima era una dolce e plausibile variazione sul tema. Basti pensare al Valencia di Cuper, al Bayer Leverkusen di Toppmoller, all’Ajax di Van Gaal o all’Olympique Marsiglia di appena venti anni fa. Altri tempi, certo. Ma l’Atletico Madrid, domani sera a Milano, può far rivivere questa roba qui. E per chi ama il calcio, non è roba da poco. Non può esserlo. E non c’è Zidane in panchina (che strano e che bello vederlo così) che tenga.

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