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Affascinato da Juliano e dalla bella ’mbriana, Stefano da Padova si chiede: «Che senso ha il Carpi in serie A?»

Affascinato da Juliano e dalla bella ’mbriana, Stefano da Padova si chiede: «Che senso ha il Carpi in serie A?»

Non è mai stato al San Paolo; ha vissuto a Napoli solo pochi anni, da piccolo. Per lui, innamorarsi dell’azzurro è stato un po’ come le oche di Konrad Lorenz: “Quando ho aperto gli occhi, l’immagine del Napoli mi si deve essere stampata nel cervello. E lì è rimasta”. Stefano Magrini, 50 anni, vive a Pianiga, piccolo comune in provincia di Venezia vicinissimo a Padova. Sposato con Valentina e papà di Sofia (4 anni), è professore associato di Politica Economica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. “Sono nato in Calabria, a Vibo Valentia, ma quando avevo 2 anni la mia famiglia si è trasferita a Napoli, dove sono rimasto fino a quando ne ho compiuti 7 – racconta – Abitavamo ai Colli Aminei in una casa che affacciava sull’arido campetto di calcio della parrocchia”. Stefano racconta che era ossessionato dai buchi lasciati dai tacchetti nella polvere del campo: “Avrei fatto qualunque cosa per riuscire anch’io a lasciare quei buchi, ma con i mocassini che si usavano all’epoca era una battaglia persa. Provavo a camminarci sopra con leggerezza ma, per quanto mi sforzassi di non calcare, la suola liscia finiva per cancellarli. Allora più volte ho tentato di legare con lo spago dei sassi sotto la suola, ma sono riuscito solo ad aumentare la mia frustrazione. Ma quel campo, la casa, la strada, il marciapiede sotto il portico che percorrevo con la Graziella blu, derapando con il freno a contropedale, sono rimasti dei luoghi magici per me”.

È stato in quel campo, guardando i ragazzi più grandi giocare nelle loro magliette azzurre, che è nato il suo desiderio più grande, quello di avere la maglia come quella di Juliano, “il mio eroe, il condottiero coraggioso e taciturno che ti rassicura e ti sprona, un po’ come era il mio papà”. Ha continuato a chiedere quella maglia per anni, ogni giorno, insieme ad un paio di scarpe da calcio che gli permettessero finalmente di lasciare i buchi nel terreno: “Le scarpe arrivarono qualche anno dopo, la maglia con il numero 8 non arrivò mai, ma il desiderio di indossarla rimase sempre. E allora indossavo qualunque maglietta azzurra, anche quella di un pigiama. Solo molti anni dopo, il pigiama camuffato è stato sostituito da una maglietta col numero 10”.

Stefano parla di Pianiga come di “un angolo di mondo che offre delle possibilità” anche se definisce Padova una città non semplice, “più violenta di quanto la sua dimensione lascerebbe supporre e molto provinciale”. Dichiara di fare fatica a sentirsi padovano. È Napoli il suo luogo del cuore: “È la città che ho idealizzato da bambino, anche per difendermi dall’accoglienza un po’ ruvida da parte di alcuni coetanei una volta arrivato qui ed è l’unico luogo in cui ho vissuto per il quale provo affetto”. Nonostante ciò, da quando è andato via da Napoli alla volta di Padova non vi è più tornato, “forse per paura”, dice.

Racconta della sua passione per il caffè e di come sia difficile, dalle sue parti, trovarne uno buono. È affascinato dalla leggenda della Bella ‘Mbriana, scoperta attraverso Pino Daniele: “A casa mia c’è sempre una sedia vuota, non si sa mai”. Ci parla delle specialità culinarie padovane, “non esattamente memorabili”: dei “bigol, una pasta lunga di grano tenero, molto ruvida, che si condisce con il ragù d’anatra” e della tradizione locale dello spritz, l’aperitivo con prosecco, bitter e acqua frizzante, “anche se preferisco un Cartizze”.

Stefano guarda la partita a casa, con la famiglia. Sofia si accomoda a un’estremità del divano in compagnia del dvd di Lilli e il vagabondo, Stefano siede all’estremo opposto, davanti alla tv, ad una distanza tale per cui imprecazioni e gesti inconsulti non interferiscano con il cartone di Sofia. La piccola è incuriosita dalla partecipazione attiva del padre a quanto accade in tv e ogni tanto lascia Lilli al suo destino e si mette ad assistere anche lei a quello che sarà il destino del Napoli. Intanto fuori diluvia e i latrati che provengono dal cartone rendono l’atmosfera surreale: mentre Lilli e il vagabondo vengono attaccati dai topi, Stefano si concede un bicchiere di rosso. Finisce 0-0 in una serata in cui “la cazzimma dei nostri è rimasta a Napoli”. Niente sfogliatella della vittoria al bar della stazione di Venezia Santa Lucia, domani, “magari consumata a fianco di Gianni Montieri”. Una domanda aleggia nella notte piovosa di disperazione per un pareggio che suona come una sconfitta: “Che senso ha portare in serie A una squadra come il Carpi?”.
Ilaria Puglia

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