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Dialogo tra il Ciuccio e la Zebra

Dialogo tra il Ciuccio e la Zebra

Arrivo e lei c’è già. “Sei in ritardo” mi rimprovera la Zebra. Edenlandia, di fronte a noi, è una morsa di tristezza al cuore. “Veramente io sono puntuale, sei tu che sei in anticipo”, le rispondo mentre ci incamminiamo verso il vialetto che porta al vecchio zoo. È un attimo e capisco cosa voglia dire per lei e per il mondo di cui è simbolo la frase secondo cui vincere non è importante, ma la sola cosa che conti. Il nostro dialogo sul calcio comincia da qui, da questa guerra dei mondi, questo contrasto di esistenze, tra la mia filosofia e la sua. 

Zebra: “Ne parli con un tono di superiorità morale che è francamente insopportabile. Tu assumi De Coubertin come il depositario di una lezione etica assoluta, quando invece la sua è solo una posizione, rispettabile, chi lo nega, ma non una verità, un dogma, una fede. Asserire che l’importante è partecipare è un alibi per chi in bacheca ha uno scudetto o due, oppure al massimo 18. Mi fanno ridere gli slogan come: al di là del risultato. Se del risultato non te ne importa, il risultato non arriva. Poi però scopri che proprio chi si proclama tifoso e sportivo al di là del risultato finisce per festeggiare le sue scarse vittorie per un periodo di tempo lunghissimo. Come lo spieghi questo paradosso?”. 

Ciuccio. “Sai benissimo qual è la mia posizione, ne abbiamo parlato altre volte, a cena. Io considero la vittoria un desiderio, un sublime desiderio, non un obbligo, non la vocazione della propria esistenza. Dire che la vittoria è la sola cosa che conta equivale a sostenere che per vincere vale ogni cosa. Se è così, ci vuole poco per giungere alla conclusione che vale tutto per giustificare una vittoria. Se io accettassi la frase che portate iscritta non so dove, nel colletto, nella maglia, da qualche parte, allora accetterei anche il risvolto secondo cui pur di vincere anche la corruzione è giustificabile”.

Zebra. “Stai facendo filosofia su un aforisma. Un aforisma è leggero per definizione. Usi una piuma come un mitra. È un motto di spirito, in qualche caso una battuta. Non sbagli quando leghi la sostanza della frase al nostro dna. La vittoria, la sua ricerca in qualche caso anche feroce, famelica, è un tratto identitario della Juventus. Il decoubertinianesimo va bene per gli amatori, per i dilettanti, per la pratica sportiva fra i bambini. Qui si parla di sport professionistico e non ci trovo proprio niente di male a mettere la vittoria in cima ai propri pensieri. Non riesco invece a cogliere il nesso con la corruzione, non riesco a seguire il tuo ragionamento. Voglio sperare che tu non stia facendo allusioni a quella farsa che è stata Calciopoli”. 

Ciuccio. “Non alludevo a Calciopoli, che comunque non fu una farsa. Un aforisma condensa un principio, spesso proprio di genere filosofico o morale. Un aforisma si occupa di vizi e di virtù, io ci andrei molto cauto nel giudicarlo un’affermazione di serie B. Dice Valdano che dividere il mondo in vincenti e perdenti è una tendenza che il calcio ha incluso nei propri codici, ma bisogna sapere riconoscere lo sforzo di quegli uomini che, nella vittoria e nella sconfitta, elevano la qualità etica dello sport e, per estensione, la qualità etica della società”. 

Zebra. “Questa, come la chiamate a Napoli, sarebbe una zeppata. Butti dentro Valdano perché attraverso le sue parole vuoi scaraventare nella discussione la figura di Zeman, la sua parabola e l’antipatia reciproca che ci lega. Ma qui non c’entra Zeman”. 

Ciuccio. “L’associazione con Zeman l’hai fatta tu. Io invece pensavo a Martin Alonso Pinzon”.

Zebra. “Ancora con questa storia di Pinzon”. 

Ciuccio. “Martin Alonso Pinzon era il capitano della caravella chiamata Pinta e navigò affianco a Cristoforo Colombo alla scoperta dell’America. Il fatto di essere arrivato per secondo sulle sponde del nuovo mondo non fa di lui un perdente. Non ai miei occhi”. 

Zebra. “Ai miei sì. Ai miei occhi chi arriva secondo, ha perso il campionato. Si partecipa al campionato per raggiungere un obiettivo. Quello della Juve è vincere il campionato. Sempre”. 

Ciuccio. “Sivori ha giocato per anni con la maglia della Juventus, con quella è diventato famoso, ha vinto tanto, compreso un Pallone d’oro. Eppure alla Juve voltò le spalle per legarsi al Napoli. Chiuse la carriera facendo a pugni contro i suoi ex compagni della Juve. Disse che tutti i calciatori del mondo dovrebbero sapere che cosa significa giocare nel Napoli. Ha messo il sentimento davanti alle vittorie”. 

Zebra. “Ma noi ve lo lasciamo volentieri il piacere di accontentarvi d’altro, di essere soddisfatti delle vittorie morali, delle supremazie parziali, dei successi d’un giorno contro la Juventus. Vi accontentate di far battere i cuori, noi vogliamo che ci siano battute le mani”.

Ciuccio. “Io ti batterei le mani se tu accettassi i numerosi verdetti dei numerosi tribunali su Calciopoli. Se la smettessi di attribuirti 32 scudetti. Se evitassi di ospitare la nazionale, che è la squadra di tutta Italia, in uno stadio al cui ingresso compare la scritta con un numero errato di scudetti, in aperta sfida con la Figc. Marcelo Bielsa ritiene che i valori etici sono universali e non hanno bisogno di essere ratificati dai risultati per risultare autentici. Nel calcio, e qui ritorno a Valdano, i risultati sono un grande manipolatore della realtà. In ogni professione è difficile discutere con il successo, nel calcio è addirittura impossibile. Chi vince cancella i difetti. Li nasconde. Viene considerato migliore. Più grande. Più intelligente. Più furbo, se occorre. Ma se hai bisogno di una prova pratica, di un risultato, di un’evidenza per dare valore alle cose, stai negando il principio morale dell’etica che è in sé”.

Zebra. “Allora ti capovolgo il ragionamento e ti chiedo quale principio morale, quale tensione etica esiste in chi ritiene che ogni vittoria della Juve sia frutto di una macchinazione, di un piano torbido, di una disdicevole macchinazione. La Juve vince per la sua cultura del lavoro, per la sua organizzazione, per la sua voglia di riuscirci. Nel dna esiste anche un distacco, chiamalo aristocratico tanto non mi offendo, direi sabaudo, verso le vostre beghe”.

Ciuccio. “Sai bene che tutto questo non mi appartiene. Personalmente invidio la maniera della Juve di lavorare, finanche la vostra straordinaria capacità di fare lobby, di chiamare a raccolta intorno alla squadra e ai suoi obiettivi gli juventini nel mondo: ce ne sono tantissimi in ruoli chiave, nella politica, nel mondo dell’arte, nei cda della comunicazione. Chi sottovaluta il contributo di questo lavoro ai vostri successi, chi non sa mettere in campo una pari capacità a tutto campo, concede alla Juventus un vantaggio del 30%. 

Zebra. “È una vostra ossessione. Questa lobby, posto che esista, esisteva anche negli anni in cui siamo stati retrocessi in serie B, esisteva anche negli anni in cui siamo arrivati al settimo posto per due campionati di fila perché era stata sbagliata la squadra, non perché qualche malvagia manina fosse contro di noi. È questa, alla fine, la vera differenza tra noi e voi. C’è una cosa della Juventus che nessuno ha capito mai, neppure tu, mi spiace dirtelo. Il grande piacere della Juventus sarebbe avere un rivale alla sua altezza. Qualcuno che dichiari di voler vincere sempre, proprio come diciamo noi. Qualcuno che accetti il secondo posto come una sconfitta. Qualcuno che ci metta sempre addosso tensione, rabbia, fame. Il nostro carburante. È questo il nostro vuoto. Non lo colmerete mai”.
Il Ciuccio

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