C’era una volta il Rudi Garcia pacato, mai banale, giudizioso. Severo quando bisognava esserlo, come sul razzismo negli stadi. Persino ironico. Quando vinci dieci partite di fila è tutto più semplice. Il tecnico francese è la sorpresa della stagione. È riuscito nell’impresa di costruire una squadra da un gruppo di giocatori tanto forti quanto dissennati. Probabilmente la Roma è stata mediamente la squadra più forte dell’ultimo dcennio. Che però ha avuto la sfortuna di imbattersi prima nell’Inter di Mourinho – e tra l’altro l’aveva quasi battuta – e adesso nella Juventus di Conte. Sembrava naufragata, la Roma, dopo il biennio Luis Enrique-Zeman. Garcia l’ha rivitalizzata, le ha dato un’anima, ha sistemato la difesa e, soprattutto, ha indovinato gli acquisti: su tutti, Benatia, Strootman e Gervinho.
Ma Roma, si sa, è un ambiente difficile. Ben più caldo di Napoli. A Roma basta pareggiare un derby – pareggiare eh, mica perdere – per ritrovarsi oggetto di critiche. Ed è capitato persino a Garcia: “perché ha fatto giocare Pjanic che non si regge in piedi?”; “perché ha lasciato fuori Nainngolan che contro il Napoli sarà squalificato?”; “Bastos poteva inserirlo prima”; “non può lasciare fuori Destro tutto questo tempo contro una squadra che non tira mai in porta”. E sono secondi in classifica, teoricamente a quattro punti dalla Juventus.
Nella capitale il clima è cambiato. I tifosi sono un po’ sospesi. Oscillano tra l’euforia per uno scudetto ancora alla portata e la paura di perdere il terzo posto. E Garcia le pressioni le avverte. Altrimenti non avrebbe scantonato, come invece ha fatto, alla vigilia del derby contro Edy Reja che è stato sì autore di una frase poco felice sugli infortuni della Roma ma che si era poi prontamente scusato. Non puoi impartire una lezioncina di educazione sportiva a Reja, uno dei pochi signori ancora rimasti nel nostro calcio. È il segnale di un malessere. Di un qualcosa che non gira più nel verso giusto.
E oggi Garcia si è ripetuto. Ha fatto un po’ lo sbruffoncello: “Gliene abbiamo già senati cinque in due partite”. Che è vero, per carità. Però – con le dovute cautele – mi ha ricordato il “non voglio vedere una bandiera rossonera” di maradoniana memoria. Come se Garcia avvertisse qualche scricchiolio e provasse a cementare il gruppo alzando la voce, provocando i suoi calciatori. Sembrano lontani i tempi della felicissima battuta sulla chiesa riportata al centro del villaggio dopo la vittoria nel derby d’andata. Domani chi rischia di più è il Napoli, c’è poco da dire. Eppure i più sereni sembriamo noi. Benitez, come al solito, non è andato al di là di una leggera stoccata “ci basterà un gol legale” (riferimento al primo gol di Gervinho in fuorigioco, anche se c’è chi sostiene che si riferisse a un gol entro i 180 minuti della doppia sfida). I due si conoscono piuttosto bene. Ai tempi di Liverpool e Lille, si qualificò Rafa. Ma conta poco. Domani sera conterà molto la testa. La concentrazione. La capacità di non andare in crisi. Sicuramente all’andata abbiamo minato le loro sicurezze. Vediamo se abbiamo lasciato il segno.
Massimiliano Gallo