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Ballardini, l’aziendalista con gli occhiali scuri

Prendete un uomo che nella sua vita abbia lavorato con Cellino, Zamparini, Preziosi e Lotito. Praticamente un santo. È chiaro che sviluppa degli anticorpi. Navigando in quelle onde, impara il codice marittimo. Apprende l’arte di fare i nodi e si fa una cultura sulla direzione dei venti. Navigando in una perenne baruffa con il tempo, acquisisce una superiore competenza sulla maniera di orientare le vele. Davide Ballardini si chiama quell’uomo. Aria da dongiovanni di balera, gli occhiali scuri old style solo appena appena meno old di Venditti, un fascino caliginoso dinanzi al quale è caduta la signora Anna Rydberg, svedese, conosciuta a Taormina quando allenava ancora le giovanili del Bologna. Lei era in vacanza con suo padre, Per-Ake, che a fine anni ’50 era nel giro della nazionale. Una di quelle “vedove” create del calcio, una donna che stirando la domenica sera davanti alla tv si domanda perché ha sposato un uomo che non c’è mai.

Ballardini vive a Ravenna, gli piace il pecorino sardo alla brace servito sul pane carasau, e gli piace pure Elton John, che con il pecorino sardo alla brace non c’entra proprio niente. Avendo conosciuto più di una tempesta, ha studiato il modo di disinnescare i suoi presidenti. Di Preziosi è diventato socio, non nei Gormiti, ma nella proprietà di uno stabilimento balneare. Con Lotito si è fatto la fama di aziendalista, un’accusa e una parola che fanno venire in mente Lama, Carniti e Benvenuto. Post-ideologicamente, un giorno Ballardini ha alzato le vele per solcare il mare sfruttando il vento a favore che il suo presidente soffiava. Lui rivendica il fatto di non essersi mai fatto imporre una sola formazione, a Roma semmai si fece imporre delle esclusioni, e questo Pandev lo ricorda bene. Lotito non voleva che il Ballardini d’epoca laziale utilizzasse il macedone e neppure Ledesma. I due si rifiutavano di rinnovare i loro contratti, Lotito li mise fuori rosa, Ballardini navigò in direzione ostinata e concorde. Era un allenatore lanciatissimo. Aveva il marchio di qualità che un giudizio favorevole di Arrigo Sacchi in genere concede. Ha studiato i metodi di Capello, del colombiano Maturana e di “Schopenauer” Bagnoli, quelle cose che ti fanno molto fico quando le racconti in un’intervista. Al Master di Coverciano si era laureato con una tesi su “la didattica della difesa a tre” nonostante il suo modulo preferito sia il 4-4-2: finezza, questa, che fa di lui un uomo dalla mentalità aperta. Ama descriversi come testardo e permaloso, certo a Roma fu soprattutto permaloso. E Pandev non gliel’ha mai perdonato.
Elena Amoruso

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